Crisi di governo e aumento dell’Iva: potrebbe essere il titolo di una favola di Esopo. Di una di quelle che insegnano che compiere mosse azzardate al fine di un immediato tornaconto non è mai una buona idea. Lo ha capito troppo tardi Matteo Salvini che nella smania di “capitalizzare il consenso” ha colpito e affondato il “governo del cambiamento”. Ed ecco che il paese cade ancora una volta in una situazione d’instabilità istituzionale e finanziaria.
L’ordine di retro front sulla mozione di sfiducia al governo promossa dalla Lega arriva tardi. “Il Governo finisce qui” dichiara lapidario il Presidente del Consiglio Conte durante il suo discorso in Senato. Ora non resta dunque che fare i conti – e farli letteralmente – con questa realtà: il contratto di governo tra Lega e M5s è finito. Con tutto – ma proprio tutto – quello che ne consegue.
La grave minaccia dell’aumento dell’Iva
A rendere la situazione particolarmente preoccupante è che questa crisi di governo capita – per così dire –, proprio al momento sbagliato. In effetti, se una prematura scomparsa del governo per noi italiani non ha di per sé nulla di straordinario, il fatto che questa volta la crisi distolga l’attenzione da una manovra finanziaria cruciale per il Paese potrebbe costituire un problema ben più grave.
Ci si riferisce alla necessità di neutralizzare le disposizioni della Legge di Bilancio 2019 in tema di imposta sul valore aggiunto. Con questa legge, il Governo giallo-verde era riuscito a bloccare l’aumento dell’Iva per tutto il 2019. Scongiurando l’attivazione delle così dette clausole di salvaguardia. Detto aumento veniva però rimandato dalla stessa legge al gennaio 2020.
Ora, per evitare che la minaccia si trasformi in realtà, il governo dovrebbe trovare e inserire nella legge di Bilancio 2020 risorse finanziare per 23 miliardi di euro entro 5 mesi. Cosa non troppo semplice pur lavorando di fantasia e immaginando che un qualche governo italiano esista.
Di quanto potrebbe aumentare l’Iva e cosa comporterebbe per gli italiani
Entrando più nello specifico, secondo l’attuale quadro normativo l’Iva ordinaria è destinata a salire dal 22% al 25,2% nel 2020 e al 26,5% nel 2021. L’Iva agevolata invece salirebbe dal 10% al 13% nel 2020. Queste percentuali dicono forse poco sull’impatto del cambiamento per gli italiani. Proviamo a tradurre.
Il Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha chiarito davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato che questo aumento dell’Iva porterebbe ad un “effetto depressivo dei consumi che, nel quadro delineato, potrebbe essere nell’ordine di 0,2 punti percentuali”. Né le parole del Presidente Codacons sono più rincuoranti. Durante un comunicato stampa dello scorso aprile quest’ultimo ha infatti dichiarato che l’aumento dell’Iva costerebbe, a parità di consumi, circa 1200 euro annui di soli costi diretti alle famiglie.
la crisi di governo e l’aumento dell’Iva – tra maggiori i costi per le famiglie e riduzione dei profitti per le imprese – se non si corre ai ripari al più presto, rischiano di dare all’economia italiana un brutto colpo.
Andare al voto o rimandare a dopo la legge finanziaria?
Stando così le cose, la priorità di tutti dovrebbe essere l’approvazione della nuova legge finanziaria. Andrebbe dunque deciso in funzione di questo cruciale obiettivo se andare al voto o rimandare le elezioni di qualche mese. Se si andasse al voto a ottobre, le possibilità di scongiurare il pericolo dell’aumento dell’Iva si ridurrebbero notevolmente per mancanza di tempo. Per la costituzione di un nuovo governo di coalizione e il raggiungimento di un accordo sulla legge finanziaria, il termine massimo di gennaio 2020 sembra troppo vicino.
Se invece si rimandasse il voto, magari prendendo in considerazione la “proposta indecente” avanzata da Renzi in Senato, o perlustrando altre possibilità, quali governo tecnico o un governo di scopo, forse recupereremmo uno spiraglio di speranza. Naturalmente pagando il caro prezzo di un governo senza identità e senza prospettiva. In ogni caso sarà dura, in nessun caso l’esito è scontato.
Purtroppo la sensazione è, ancora una volta, che i nostri governanti non siano interessati a prendersi cura del Paese e degli italiani. Così tra chi mira a capitalizzare il proprio consenso e chi a tenersi stretta la poltrona a ogni costo, anche il “governo del cambiamento” è stato fatto fuori. Nell’attesa di ricevere il conto, è lecito per gli italiani tutti confortarsi all’idea che, se non altro, ogni fine contiene in sé stessa il seme del prossimo inizio.
Livia Larussa