Sono numerosi gli studi che da sempre si occupano della comunicazione e del modo di entrare o di non entrare, in relazione con l’ altro.
La crisi della comunicazione dialogica che ormai pervade la nostra generazione si evidenzia ovunque e le nostre vite sono profondamente cambiate da quando computer e smartphone sono diventati fattori irrinunciabili nella nostra quotidianità.
Nel giro di pochi anni, infatti, l’avvento degli smartphone ha incrementato l’ uso d’ innumerevoli dispositivi con relative funzioni, fino a indebolire il confine che separa il passatempo dalla dipendenza: basta pensare al tempo che ciascuno di noi impiega su piccole e grandi piattaforme di social network.
Le ultime ricerche affermano che, indipendentemente dai vantaggi prodotti, trascorrere troppo tempo a contatto con il proprio telefonino può comportare ansia e paura, piccole e grandi alterazioni dell’umore che vengono indicate con il termine di nomophobia (abbreviazione della frase non-mobile-phone fobia).
La denominazione “fobia” serve in questo caso per descrivere al meglio la sofferenza provvisoria legata al non avere il telefono cellulare a portata di mano o alla paura di perderlo. Solo riconoscendo l’esperienza relativa alla separazione da un oggetto che custodisce gelosamente un mondo intimo di desideri e sentimenti è possibile captare le forme ansiose tipiche di ogni separazione.
Una delle caratteristiche della nomofobia, infatti, è proprio quella sensazione di panico che sopraggiunge inseguito all’idea di non essere rintracciabili. Si accompagna a questo la necessità di un costante aggiornamento sulle informazioni condivise dagli altri e la consultazione del telefono in ogni momento e in ogni luogo.
Tralasciando i disturbi del comportamento derivati da tutte le forme di dipendenza, l’uso eccessivo del telefonino porterebbe ad instabilità dell’ umore, chiusura emotiva, aggressività e difficoltà nella concentrazione, con maggiore incidenza nei giovani. Nella quinta e ultima edizione del DSM, le diagnosi di abuso da sostanze e dipendenza hanno ceduto il posto alla nuova categoria dipendenze e disturbi correlati; fra le dipendenze comportamentali è stato richiesto l’inserimento dell’Internet Addiction Disorder (IAD), condizione derivata da un forte desiderio di connettersi al Web, con un tempo trascorso on line tale da compromettere la propria vita reale. Pur non avendo dati sufficienti per rendere ufficiale tale inserimento, questa diagnosi è stata inserita in appendice, con lo scopo di promuovere studi sull’argomento; è auspicabile raccogliere dati interessanti su nuovi e importanti fenomeni, sia normali che patologici.
Noi intanto possiamo limitarci ad osservare il fenomeno in ogni sua forma, ed essere pronti a riconoscere da un lato l’insorgere di una possibile dipendenza, dall’ altro il valore di un dialogo comunicativo anche virtuale, se questo consente di uscire dal silenzio di una solitudine, o di una condizione comunicativa deficitaria e limitata.