La crisi del Venezuela ha radici profonde, ma il suo ingresso dirompente nelle diatribe internazionali è avvenuto il 23 gennaio 2019, quando un giovane e finora sconosciuto deputato, Juan Guaidò, ha prestato giuramento come presidente ad interim del Venezuela, di fronte a migliaia di cittadini venezuelani riunitisi in un viale di Caracas.
Invocando gli articoli della Costituzione che indicano nel presidente del Parlamento il responsabile dell’esecutivo, se all’inizio di un mandato presidenziale manca un presidente eletto, Guaidò si è autoproclamato presidente, a fronte dell’appoggio ricevuto dagli Usa tramite una presunta chiamata avvenuta nella notte del 22 gennaio tra Mike Pence, vicepresidente degli Usa sotto l’amministrazione Trump, e lo stesso Guaidò.
Le opposizioni: una compagine divisa e perseguitata
Ma in che modo le opposizioni, guidate formalmente da Guaidò, si stanno muovendo per destituire Maduro, che detiene ancora il potere di fatto?
Molti partiti dell’opposizione, negli ultimi anni, si sono ritirati dalla competizione elettorale poiché libertà e pluralismo non vengono rispettati, mentre molti candidati sono stati interdetti dai pubblici uffici, altri politici sono rinchiusi in carcere. 19 dei 20 partiti che si erano presentati alle elezioni del 2015 sono stati messi fuori legge.
Nel frattempo, tra le opposizioni non mancano i dissidi. Molti partiti ed esponenti non si sono resi disponibili ad appoggiare l’agenda di Guaidò e minacciano di sabotarla. Il partito di Guaidò, ‘Volontà popolare’, insieme a ‘Primero Justicia’, sta lavorando per la rimozione di Maduro e la convocazione di libere elezioni. ‘Azione democratica’ e ‘Un tempo nuovo’, invece, mirano ad evitare qualsiasi coinvolgimento dei militari nel progetto di rimozione di Maduro; ritengono che si possa sfruttare la debolezza del governo per indire libere elezioni. Per una componente minoritaria dell’opposizione, è necessario un aiuto militare esterno per destituire Maduro.
Il rischio di una guerra civile è più realistico di quanto si possa pensare limitandosi ad uno sguardo superficiale.
Si susseguono gli arresti e le minacce
Ieri, il vice leader dell’Assemblea nazionale, Edgar Zambrano, è stato arrestato dagli agenti dell’intelligence venezuelana, a Caracas, con l’accusa più o meno tacita di aver sostenuto, a fianco di Guaidò, l’insurrezione ai danni di Maduro del 30 aprile scorso. Juan Guaidò ha subito denunciato il fatto, appellandosi alla comunità internazionale, ma in particolare agli Stati Uniti. “Avvertiamo il popolo venezuelano e la comunità internazionale: il regime ha rapito il primo vicepresidente dell’Assemblea nazionale”, ha scritto Guaidò in un messaggio su Twitter, e ha poi aggiunto: “Stanno cercando di distruggere il potere che rappresenta tutti i venezuelani, ma non riusciranno”.
L’ambasciata virtuale degli Stati Uniti ha immediatamento reagito minacciando “conseguenze” se le autorità venezuelane non libereranno Edgar Zambrano. Da marzo scorso, d’altronde, non esiste una vera ambasciata americana nel paese. Dopo aver sospeso temporaneamente le operazioni a Caracas e aver ritirato il personale diplomatico, ciò che resta dell’ambasciata americana è un account Twitter, detto appunto ambasciata virtuale.
Con la crisi del Venezuela si gioca una partita nuova?
Farsi strada nel marasma venezuelano non è affare semplice. Nel paese più ricco di petrolio dell’America latina si gioca una partita nuova. In essa gravitano interessi economici e commerciali cinesi. In essa la morsa americana si stringe con forza, attenuata però dalle nuove dinamiche internazionali, più complesse rispetto al passato. Nella crisi venezuelana sono coinvolti anche Russia e Cuba, sono coinvolte le ideologie del passato che tuttavia sembrano stridere con lo scenario odierno.
Parlare di Venezuela è parlare anche di Italia. 120.000 gli italiani che vivono nel paese e quasi un milione gli italodiscedenti. Gli italiani hanno rappresentato la classe media e sono stati fortemente colpiti dal governo chavista. Guaidò si è invece circondato di italiani, ma il governo italiano non sembra aver preso in considerazione questa vicinanza. L’Italia non ha mostrato di possedere una strategia univoca per il Venezuela. L’iniziale neutralità non è stata mantenuta, le voci erano discordanti, i silenzi assordanti. In assenza di una riflessione strategica, l’Italia si condanna a fanalino di coda nei tavoli internazionali.
Mentre si consuma la contesa tra l’erede di Chavez, Maduro, e l’alleato dell’America, Guaidò, si assiste ad un’emergenza umanitaria. Il paese è al collasso e, anche se la crisi dovesse concludersi domani, la convalescenza sarebbe parimenti molto lunga e difficile.
Giulia Galdelli