Il “giovedì nero” di Wall Street fu il simbolo di una catastrofe senza precedenti. La fine dei roaring 20s e le speculazioni attorno ad un’economia di consumo oramai divenuta cancerogena segnarono il primo passo verso una crisi che in Europa sarebbe sfociata nel secondo conflitto mondiale. A 90 anni da quel 24 ottobre del 1929 ripercorriamo la storia della Grande Depressione.
Nella seconda metà degli anni Venti l’economia statunitense stava godendo di un momento di incredibile prosperità. I roaring 20s erano nel pieno della loro vita, la produzione industriale cresceva sempre di più e soprattutto si era affascinati dalla nuova economia di consumo. La classe media (e medio-bassa) riusciva ad acquistare elettrodomestici di varie specie, con molti sacrifici e altrettanti finanziamenti a rate. E’ in questo contesto che scoppia la crisi del ’29 e che nel giro di pochi mesi stravolse Stati Uniti e non solo.
Una nuova economia
La diffusione del consumismo è stata una delle principali cause del crollo di Wall Street. I beni oggetto del desiderio popolare però, essendo durevoli, o comunque con ritmi di sostituzione basso, una volta acquistati duravano molti anni. Di conseguenza, le famiglie, già altamente indebitate con le banche non avevano intenzione di cambiarli in tempi celeri, anzi. Per tale motivo il mercato dei beni di consumo durevoli tendeva ad essere molto dinamico fino alla saturazione, che a sua volta comportava un rallentamento della crescita delle imprese. Ciò nonostante non si riuscì ad intravedere subito questo trend maligno. Anzi, si verificò un’ondata di euforia legata ai buoni risultati del sistema economico statunitense che portò i risparmiatori ad acquistare i titoli azionari emessi dalle imprese. Fino all’implosione. Fino alla crisi del ’29.
La crisi del ’29
Nei primi mesi del 1928 le dinamiche della produzione e dei valori azionari si divaricarono: da un lato la produzione dei beni di consumo si stava saturando, con un delta sempre maggiore tra offerta e domanda. Nel frattempo, il mercato borsistico continuava a crescere, creando un margine incolmabile tra le due facce dell’economia statunitense. Per ciò, i risparmiatori continuavano a dare per certa la crescita delle azioni, frutto anche della grande speculazione degli operatori di Wall Street. Già verso fine settembre del 1929 la crepa del sistema sembrò irreparabile e soprattutto non ci fu più alcuna relazione tra la produzione ed il valore delle azioni. Per questo fu indispensabile vendere tutte le azioni possibile. E da qui scoppiò il crack. Il 24 ottobre 1929, con la crisi del ’29 già manifesta, la borsa di Wall Street crollò portando a dei ribassi al valore delle azioni superiori al 50%. La crisi si conclude la settimana dopo, nel “martedì nero”, quando si vendono titoli azionari per oltre 16 milioni di dollari.
Le conseguenze
Le ripercussione dal celeberrimo crollo si verificarono durante tutta la prima metà degli anni Trenta. Solo negli Stati Uniti fallirono centomila aziende. Chiusero i battenti ben cinquemila banche e persero il lavoro circa dieci milioni di cittadini statunitensi, in quella che resta la più grande crisi della storia assieme alla recente Grande Recessione. Inoltre, i risvolti europei sono di enorme portata considerando i grandi investimenti nel Vecchio Continente durante il primo dopoguerra nel cosiddetto Piano Dawes. A far specie è la forte svalutazione monetaria della sterlina che mise in ginocchio anche il Regno Unito, che fino a quel momento aveva goduto di una stabilità senza paragoni in Europa. La svolta per gli Stati Uniti ha un nome ed un cognome: Franklin Delano Roosevelt, che con il suo new deal riuscì a far ripartire l’economia. Mentre in Europa le scorie della crisi del ’29 sarebbero sfociate nella più grande e tragica guerra della storia dell’umanità.
Federico Smania