Criminalità giovanile in Italia: il fallimento è di tutti

Criminalità giovanile a Napoli

Negli ultimi anni, Napoli è stata protagonista di un’escalation di violenza giovanile e, sempre più spesso, gli episodi di omicidi coinvolgono minorenni. Tuttavia, il fenomeno non è un problema relegato alla sola città di Napoli ma rappresenta un campanello d’allarme per tutta la società italiana. Il problema è complesso e si basa su una molteplicità di fattori sociali, economici e culturali che richiedono un’analisi approfondita.

L’escalation della criminalità giovanile 

Ormai è sempre più frequente tra i giovanissimi uscire con un’arma da fuoco o un coltello in tasca.

Il 27 ottobre due ragazzini di 14 e 16 anni sono stati fermati dai Carabinieri nella zona della movida di Chiaia, per detenzione di coltelli con lame da 23cm; ad agosto un ragazzo di 16 anni ha ucciso a bruciapelo il suo migliore amico, Gennaro Ramondino di 20 anni, a Pianura e successivamente ne ha bruciato il corpo.

Due settimane fa, è toccato ad Emanuele Tufano, 15enne, ucciso da suoi coetanei in seguito ad una sparatoria avvenuta nel centro storico di Napoli. L’ultima vittima è stata Santo Romano, 19enne ucciso con un colpo di pistola al petto nella notte tra venerdì e sabato 2 novembre a San Sebastiano al Vesuvio.

Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, tutto è nato da una scarpa macchiata involontariamente da un amico della vittima: Santo si sarebbe avvicinato per una mediazione pacifica ma la risposta è arrivata con delle pallottole. A fare fuoco sarebbe stato un giovane di Barra di 17 anni che ora è in stato di fermo con le accuse di omicidio e tentato omicidio poiché, quella notte, ha colpito al gomito anche un amico della vittima.

Tornando ancora più indietro, a circa un anno fa, si ricordi l’omicidio di Francesco Pio Maimone. In questi ultimi due delitti ci sono delle tragiche analogie, un fil rouge lungo 560 giorni, fatto di sangue e di violenza.

Nella notte tra il 19 e il 20 marzo 2023 agli chalet di Mergellina è scoppiato l’inferno per una scarpa macchiata, una Louis Vuitton dal valore di mille euro. La reazione a quell’errore banale, a quella disattenzione è stata carica di violenza: due gruppi, uno proveniente dal quartiere Barra, l’altro dal Rione Triano, hanno iniziato a litigare e si è sfociati in una vera rissa. D’improvviso è spuntata una pistola e senza esitare uno dei ragazzi, Francesco Pio Valda, ha sparato centrando in pieno, dritto al cuore, Francesco Pio Maimone, innocente che si trovava sulla traiettoria della pallottola. 

Si pensi anche a Giovanbattista Cutolo, 24enne ucciso da un 16enne con un colpo di arma da fuoco in piazza Municipio per futili motivi. O ancora al caso di Arturo, il 17enne che a dicembre del 2017 fu accoltellato a via Foria, sempre da suoi coetanei.

L’uomo è un animale sociale 

Aristotele sosteneva che l’uomo è un animale sociale. Alla nascita, un bambino non è in grado di soddisfare i propri bisogni.

Secondo il filosofo, la società si sviluppa attraverso l’espansione graduale dell’istinto sociale, che inizialmente spinge l’uomo e la donna ad unirsi per formare una famiglia. Poiché la famiglia non è in grado di soddisfare bisogni più complessi, diverse famiglie si aggregano per creare un villaggio, e infine più villaggi si uniscono per dar vita ad una realtà più grande, quella che in greco si chiama “pólis” e che noi oggi chiamiamo Stato. Si tratta di una comunità autosufficiente, in cui l’uomo soddisfa i suoi bisogni fondamentali.

Il filosofo Thomas Hobbes, a differenza di Aristotele, vede l’uomo come un essere asociale che cerca l’associazione con gli altri solo per ottenere benefici e vantaggi personali. Tuttavia, anche per Hobbes, la nascita della società è imprescindibile, poiché segna il superamento di quello che lui definisce “stato di natura”, un’epoca priva di valori, norme, regole comportamentali. In questa condizione, gli esseri umani non potrebbero sopravvivere a lungo.

Dunque diventa indispensabile arrivare ad una nuova condizione, quella sociale, in cui la sottomissione di tutti alle leggi garantisce a ciascuno la possibilità di vivere una vita tranquilla. Pertanto, pur partendo da visioni opposte, i due filosofi concordano sul fatto che, sia per istinto naturale che per necessità, l’uomo non possa esistere al di fuori della società. 

Vuoto di valori

Quelli sopraccitati non sono casi isolati, il fenomeno della criminalità giovanile non è un tema nuovo ma il frutto di un’emergenza sociale ignorata e sottovalutata per molto tempo, forse la diretta conseguenza di un’assenza tangibile sotto ogni aspetto. 

Sempre più frequentemente, si osserva l’insorgere di atteggiamenti aggressivi tra i giovani, che sfociano in episodi di violenza, sia verso gli adulti che tra coetanei. Questo fenomeno riflette una crisi di valori e di educazione che l’Italia non può più ignorare. Ogni giorno si creano gruppi di “baby gang” che agiscono senza scrupoli, mossi da una forte ostilità verso gli altri e con una forte indifferenza verso le conseguenze. Il fenomeno non è semplice devianza giovanile ma l’indice di un’assenza di modelli positivi, una mancanza di elementi fondamentali nella nostra società. Vi è un vuoto di valori, di cultura, dello Stato.

Questi ragazzi trascorrono il loro tempo per strada senza uno scopo, colmando il vuoto delle loro giornate con comportamenti illegali, convinti che la violenza sia l’unica via per cambiare la propria vita. L’assenza di una famiglia capace di svolgere la sua funzione educativa, si unisce all’assenza della scuola e alla mancanza di adeguati modelli di riferimento, creando un humus di violenza e rendendo questi ragazzi incapaci di distinguere il bene dal male poiché non hanno i mezzi materiali ed intellettuali per comprendere che un’altra strada esiste ed è possibile anche per loro.

Come fronteggiare il problema della criminalità giovanile 

Secondo il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, bisogna introdurre misure repressive e di controllo nelle zone della movida, incrementando le videocamere di sorveglianza ed aumentando il numero di agenti nel centro della città.

Però il problema non è solo strutturale ma anche sociale: la politica dovrebbe mettere in atto dei reali sistemi di prevenzione. Alla repressione bisognerebbe affiancare investimenti concreti nella cultura, adottare un approccio preventivo ed educativo che coinvolga attivamente famiglie e scuole, aprire luoghi di aggregazione sociale e di interesse culturale.

Bisognerebbe attuare delle politiche sociali che offrano ai ragazzi delle alternative positive, un intervento che li aiuti a scoprire il senso di appartenenza ad una comunità e sviluppare la capacità critica di riconoscere i limiti e il rispetto per gli altri. 

Lo Stato dovrebbe responsabilizzare e supportare il nucleo familiare poiché la criminalità giovanile non riguarda solo la giustizia, ma anche coloro che, come genitori e figure educative, sono chiamati a garantire l’educazione e la supervisione dei minori. Una riforma orientata in questa direzione dovrebbe prevedere l’introduzione di programmi di supporto e monitoraggio per le famiglie in difficoltà, strumenti di prevenzione per le situazioni a rischio e percorsi di recupero riabilitativi efficaci per i giovani coinvolti in atti criminali. Supportare il lavoro degli assistenti sociali affinché genitori, educatori, insegnati possano creare una rete di intervento coesa per fronteggiare il problema della criminalità giovanile.

Il fallimento è di tutti

Questa escalation di violenza viene raccontata, da anni, sempre allo stesso modo: il popolo insorge indignato chiedendo pene severe per i responsabili, alcuni politici promettono. Si incolpano le serie tv e i film che hanno il coraggio di abbattere il velo di Maya mostrando ciò che spesso viene nascosto e che inneggiano, secondo molti, alla violenza e all’omicidio.

Ogni tanto viene data voce agli educatori che cercano di far riflettere sulle condizioni di abbandono in cui vivono i giovani e sull’isolamento in cui si trovano ad operare, a volte senza neanche avere i mezzi necessari. Tuttavia, questo messaggio complesso diventa per gli ascoltatori un’attenuante.

Ma non è così: questa semplificazione non solo non favorisce una riflessione seria sulla tematica, ma rende impossibile assumere la consapevolezza del fatto che la realtà è più complessa e che tutti gli omicidi hanno la stessa matrice culturale seppur diversi nella forma. Dove non c’è cultura ed educazione, c’è violenza. Dunque bisogna ripartire dall’educazione, dai veri valori della vita affinché nessuna vita venga più tolta. 

Brigida Cozzolino

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