Credere nella scienza sembra ad oggi una mera utopia.
“Quello di cui ha bisogno l’informazione scientifica e sanitaria è serietà, competenza vera e trasparenza, pluralismo dell’informazione. Il mondo sanitario e i suoi professionisti, hanno la necessità di essere riconosciuti non per le notizie di cronaca giudiziaria, ma per ciò che davvero fanno a favore della salute”.
Questo affermava non troppi giorni fa Barbara Mangiacavalli, presedente dell’Ipasvi, riguardo la corretta informazione scientifica e professionale.
Esperienza, serietà, capacità di verifica, certezza delle informazioni, legata ad una evidenza delle fonti. Sempre meno le testate giornalistiche che la garantiscono.
Cosa vuol dire parlare di scienza al giorno d’oggi?
A che serve una laurea in medicina, se oramai la scienza sembra essere accessibile a tutti?
E’ omnipresente, e sempre più legata ad una società contemporanea, affetta da una terribile bulimia di notizie. Veritiere o bufale che siano.
Il rischio che corriamo,è che oggi si faccia scienza così, per sentito dire.
A questo punto, chi ci crede più?
Un giorno ci dicono di non mangiare carne rossa, l’altro che non bisogna esporsi al sole, per rischio di tumori alla pelle, ieri affermavano che non è vero che svolgere esercizio fisico previene l’Alzheimer, e che dormire otto ore a notte fa bene alla salute; domani ci diranno che è falso che faccia bene alla salute, anzi, accorcia la vita; e che, inoltre, vaccinare i propri bambini può provocare l’autismo.
La domanda che mi sorge spontanea è:
da cosa dipendono tutte queste continue contraddizioni, che ribaltano a suon di dati e statistiche, tutto ciò che prima era considerato veritiero?
Viviamo in un’era che annega nei numeri. Ma quanto possiamo ancora affidarci a queste certezze matematiche?
Esistono credenze che vanno addirittura al limite della stregoneria. Tutte, ma proprio tutte, fondano il proprio credo su dati statistici, e sono incredibilmente dure a morire.
Come possiamo spiegarci tutto questo?
Di certo il progresso gioca a sfavore della sacrosanta verità, in quanto ci ha fornito di computer ultra veloci, super poteri sensazionali, capacità di trovare nelle banche dati ogni tipo di rapporto causa/ effetto che si voglia… Compresi quelli che in realtà neanche esistono.
La scienza è ormai accessibile a tutti. E questo non è certo un bene.
Esiste un fenomeno, che gli scienziati chiamano “correlazione spuria”, che consiste nello scambiare una correlazione per una relazione di causa/ effetto. Perchè vi dico questo?
Perchè secondo alcuni dati, apparentemente certi, su 34 importanti scoperte in campo medico, avvenute dal 1991 al 2004, almeno 14 sembrano essere infondate, sovrastimate, o basate su errori di correlazione.
Ebbene si, la scienza non è infallibile. E quel che è peggio, è che più andiamo a ritroso negli anni, più realizziamo di quante scoperte, articoli pubblicati su riviste scientifiche, taluni anche divenuti famosi, si siano basati su nient’altro che coincidenze.
Viene definita spuria una correlazione che lega due fenomeni che non hanno tra di loro alcun nesso causale, e che non possiedono, in fin dei conti, alcunchè in comune.
Potrà sembrare banale ed anche ovvio, ma assistiamo a questo fenomeno più e più volte al giorno, senza neanche accorgercene.
Facciamo alcuni esempi:
“Nel periodo di ovulazione le donne preferiscono vestirsi di rosso”,
“Il riscaldamento terrestre aumenta al diminuire del numero dei pirati presenti nei nostri mari”
“Chi si lava i denti almeno tre volte al giorno, vivrà una vita pià lunga”
Spesso segue la sigla “Così dice la scienza”, come a dire, parola di re, da accettare senza porsi alcun interrogativo a riguardo.
Al grande pubblico piacciono i risultati correlati da rigorosi dati statistici, che fanno molto scienza; sembra quasi che la gente prenda la certezza matematica come una scusa per spegnere il cervello, senza fare affidamento ad un proprio bagaglio culturale, alla logica, alla benchè minima ipotesi che, chi svolge i sondaggi, possa incappare in qualche semplice e banale errore.
Dov è finita la nostra sana capacità di giudizio, quando si parla di scienza?
Sotterrata da un milione di numeri.
Viviamo nell’era dei Big Data; oggi è possibile accedere ad un set potenzialmente infinito di informazioni; ed è anche a causa di questo, che la ricerca stessa ha mutato il suo volto; adesso si parte da dati che esistono già, per giungere a delle ipotesi. La tecnologia rende accessibile anche quello che si credeva impossibile; il problema, ad oggi, è come gestire quest’immensa mole di dati raccolti ogni secondo, ogni minuto, ogni ora che passa.
Ma in questa nuova era vive in parallelo anche un altro problema, dato dall’incredibile boom di crescita esponenziale dei ricercatori, milioni di giovani rampanti, spregiudicati e pronti a tutto, che sgomitano per vedere pubblicate le loro ultimissime ricerche scientifiche. Questo può voler significare che nessuno controlla mai i risultati delle ricerche altrui, neanche quando c’è di mezzo un aspetto delicato, come potrebbe essere la salute dell’uomo.
Tutto questo non significa di certo che la scienza manca di credibilità, e che dobbiamo diffidare su tutto ciò che scorre sotto i nostri sguardi distratti.
Questo articolo vorrebbe semplicemente invitare i lettori ad usare il cervello, e le incredibili capacità di ragionamento, che questo organo sensazionale ci offre.
Viviamo in un mondo a portata di click, ma nonostante questi scricchiolii, che mirano a far crollare l’imponente edificio della scienza, l’era del Big Data trascina dietro di sé anche uno tsunami di notizie positive. La messa dati che abbiamo a disposizione non è necessariamente una maledizione, volta a distruggere la sacralità del’informazione scientifica, ma un’opportunità da sfruttare, imparando a farlo nel mondo giusto. E se non sono solo i dati a ad essere sempre in errore, ma bensì il nostro modo di interpretarli, è meglio che s’impari in fretta, perchè il mondo, di certo, non ci aspetta.