Sarebbero dovuti essere inaugurati il 20 maggio i Cpr in Albania voluti dal governo italiano di Giorgia Meloni in seguito agli accordi stretti con il governo albanese del premier Edi Rama. La data di apertura dei centri era già slittata a novembre ma molto probabilmente sarà posticipata nuovamente a causa degli estremi ritardi dei lavori, si pensa tra i primi mesi del 2025. L’appalto per la gestione delle strutture è stato dato per 133milioni di euro a Medihospes, colosso dell’accoglienza in Italia che, nonostante denunce e inchieste per le violazioni dei diritti umani nei centri per migranti italiani, continua a gestirne circa il 60% della totalità sul territorio nazionale.
Le dichiarazioni e le smentite degli ultimi giorni del premier Edi Rama sui lavori dei Cpr in Albania
In un’intervista pubblicata da Repubblica il 24 maggio, il premier Edi Rama aveva dichiarato a un giornalista “Amico mio, il centro comunque in qualche mese sarà pronto, quello è niente. Ma il problema sarà farlo funzionare. E sarà molto diffide per le procedure: come fai a far ruotare 3000 persone in 28 giorni con la burocrazia italiana e con le regole europee?”. Dichiarazione che mette quindi in dubbio la funzionalità di questi Cpr fortemente voluti dal governo italiano.
Poco dopo è però arrivata sempre da parte del premier albanese la smentita. Su X ha infatti negato di aver parlato di un fallimento del progetto dei Cpr in Albania e che le sue parole sarebbero state modificate e riportate erroneamente da Repubblica. Il tweet di Rama si conclude con una dichiarazione che lo mostra convinto delle scelte portate avanti con il governo italiano: “Comunque ripeto: se dovessi tornare cento volte sui miei passi, cento volte farei l’accordo sui migranti con l’Italia e con nessun altro paese”.
La situazione: i ritardi dei lavori per la costruzione dei Cpr in Albania
Ciò che però è certo è che nell’area tra Shengjin e Gjader non è ancora stato costruito nulla. In queste due località dovrebbero sorgere le principali strutture dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio italiani. Il piano firmato il 7 ottobre prevede infatti la costruzione di 3 strutture, un hotspot al porto di Shengjin, dove attraccheranno le motovedette della Guardia costiera italiana e della Guardia di Finanza per far sbarcare e per procedere con l’identificazione dei migranti salvati nel Mediterraneo mentre a Gjader, a circa 20 km da Shengjin, dovrebbero essere costruiti un Centro di Prima Accoglienza per i migranti che chiederanno l’asilo e un Centro di Permanenza per il Rimpatrio da 144 posti.
Mentre sembra che nell’area del porto ci siano dei container già posizionati, sui terreni deputati alla costruzione dei centri a Gjader, un’area di 70mila metri quadri su cui sorgeva un’immensa base militare, per ora c’è solo una spianata di terra con qualche ruspa e animali al pascolo.
I siti sono chiusi ed è stato impedito più volte l’ingresso a giornalisti. Negli scorsi giorni, però, c’è stato un blitz di una delegazione del PD che è riuscita ad accedere agli spazi di Gjader. In un video i delegati del PD denunciano ritardi, costi e disumanità del progetto. Matteo Orfini ha infatti dichiarato “Meloni spende 800 milioni per una cosa inutile e costosa, peraltro anche in palese violazione dei diritti umani. Ci ripensi e metta queste risorse su welfare, sanità e politiche per l’integrazione”, definendo il progetto dei Cpr in Albania come uno spot pubblicitario in vista delle europee fallito in partenza. I costi dell’intero progetto continuano tra l’altro a innalzarsi, stimati ora intorno agli 800milioni di euro.
Le perplessità della comunità locale sulla costruzione dei Cpr
La situazione non è chiara neanche agli abitanti di Gjader e dei paesi limitrofi. L’Espresso ha pubblicato un articolo venerdì 24 maggio, in cui, in seguito a una spedizione in Albania, alcuni giornalisti hanno raccolto alcune testimonianze della comunità locale. Divisa tra chi sostiene il progetto italiano e chi invece esprime tutte le proprie preoccupazioni, ciò che sembra chiaro è che nessuno abbia preso effettivamente sul serio la costruzione delle varie strutture. Mentre alcuni si sono dimostrati entusiasti per il progetto pensando che l’intervento italiano porterà come conseguenza un miglioramento delle strade di tutta l’area e della rete idroelettrica, molti altri hanno espresso le proprie perplessità e il timore che questo progetto sarà poi applicato da altri Stati sempre in territorio albanese. La voce del dissenso è comunque ancora piuttosto silente ma ci si aspettano proteste più accese nel momento in cui i lavori cominceranno a pieno regime. Tra i contrari, come raccontato sempre nell’articolo dell’Espresso, ci sono l’avvocato Ndre Molla e la parlamentare del partito democratico Lindita Metaliaj, che hanno espresso timori per il territorio e la popolazione albanese.
L’appalto per la gestione a Medihospes e la violazione dei diritti umani nei Cpr albanesi
Ma, al di là della popolazione locale, sono numerosissimi i politici, gli attivisti e le associazioni che esprimono estreme preoccupazioni per le future condizioni di vita dei migranti nei Cpr albanesi. Le preoccupazioni sono aumentate nel momento in cui è stato assegnato l’appalto della gestione delle future strutture a Medihospes, colosso della gestione dell’accoglienza in Italia, già sotto diverse inchieste per le condizioni di vita disastrose di numerosi centri per migranti in territorio italiano gestiti dalla cooperativa. L’appalto assegnato ha un valore di oltre 133 milioni di euro. La cooperativa, che gestisce il 60% dei centri per migranti in Italia, era inoltre stata inoltre indagata in Mafia capitale a causa delle presunte connessioni con la società La Cascina, coinvolta nell’inchiesta sul centro di accoglienza di Mineo.
Crescono quindi le preoccupazioni sulla violazione dei diritti umani nei Cpr albanesi. Le strutture dei Cpr sono già luoghi dell’orrore in territorio italiano, la mossa del governo di Giorgia Meloni sembra un’ulteriore strategia per allontanare il problema e permettere rimpatri ancora più rapidi e violazioni dei diritti umani ancora più sistematiche.
Il progetto rientra nella politica di esternalizzazione delle frontiere portata avanti da anni sia dall’Unione Europea che dall’Italia, tra cui i vari accordi stretti di recente con la Tunisia per impedire l’arrivo dei migrati in territorio italiano. La direzione della politica italiana sul tema delle migrazioni è sempre più chiara e preoccupa estremamente per il futuro dei diritti delle persone in movimento. Il progetto in territorio albanese è un ulteriore step fatto per rendere le frontiere esterne sempre più forti, bloccando i migranti al limitare del territorio europeo, rafforzando quella Fortezza Europa che sembra chiudersi sempre più in se stessa, rendendo sempre più fragile il diritto all’asilo.