I Cpr in Albania costeranno 65 milioni di euro. Questa cifra, menzionata nella determina della Difesa, sarà però destinata esclusivamente ai lavori di costruzione e alle attività di cantiere, ai quali andranno poi aggiunti i fondi per la gestione delle strutture, frutto dell’accordo tra Giorgia Meloni e il premier albanese Edi Rama. I centri, che dovrebbero essere pronti per Novembre, avranno un costo complessivo nei prossimi 5 anni di oltre 700 milioni di euro.
Una cifra monstre solo per la costruzione
I Cpr in Albania avrebbero dovuto aprire il 20 maggio secondo la parole di Giorgia Meloni, ma ciò molto probabilmente non accadrà. I lavori per la costruzione dei due centri di permanenza per i rimpatri di Shengjin e Gjadër ( voluti dopo l’accordo con il premier albanese Rama) sarebbero infatti dovuti iniziare il 23 marzo ma, come riporta Il Fatto Quotidiano, i lavori sono iniziati soltanto da pochi giorni. Un’ulteriore smentita arriva dalla determina del Ministero della Difesa, dove si legge che la consegna è prevista dopo 233 giorni dall’inizio dei lavori, cioè il 10 novembre. Insomma, la tanto auspicata apertura di fine maggio in vista delle elezioni europee di inizio giugno è destinata a rimanere solo un sogno della premier Meloni.
I lavori per i Cpr in Albania però non sono solo in ritardo, a causa anche della burocrazia e del territorio, ma si stanno rivelando ancora più costosi di quanto già non lo fossero. Nel decreto legge Pnrr presentato alla Camera il governo ha inserito una spesa di 65 milioni di euro destinata alla sola costruzione dei centri, incrementando quella già prevista che ammontava a circa 40 milioni.
Di questi 65 milioni 4,5 sono per costruire la struttura al porto di Shengjin, dove i migranti verranno solo identificati per poi essere inviati a Gjadër; è a questa struttura che viene destinato più del 90% della cifra totale, circa 60,5 milioni di euro. Ex base militare dell’aeronautica albanese situata all’interno del territorio, Gjadër è un luogo abbandonato, fatiscente, privo di rete idrica, fognaria, elettrica e mal collegato con il centro di Shengjin, da cui arriveranno i migranti; qui verranno costruite due strutture ed una “mini prigione”, oltre che un muro di cinta alto 7 metri per evitare fughe. È in questo luogo che i profughi verranno accolti oppure trattenuti (per un periodo che spazia da 28 giorni fino a 18 mesi) in attesa di un rimpatrio nel loro paese d’origine. Più che un Cpr, un carcere.
I numerosi dubbi sui Cpr in Albania
Il primo è sicuramente il costo. 65 milioni solo per la costruzione dei due Cpr in Albania (senza considerare ulteriori ritardi e spese extra), oltre 700 milioni per i prossimi cinque anni, considerando spese di gestione, rimborsi, trasporti, sanità, ma diverse stime raggiungono il miliardo di euro; tutto questo per dei centri (già di per sé di dubbia utilità) che non si sa quante persone possano ospitare realmente.
Il secondo dubbio è infatti la capienza massima dei Cpr in Albania. La stima fatta dal governo sarebbe di circa 3000 posti al mese nelle due strutture della base di Gjadër ma, secondo altre fonti riportate da Il Fatto Quotidiano e da Repubblica, i posti sarebbero molti di meno: circa 880 nella struttura più grande per chi ha ricevuto l’ok alla richiesta di asilo; circa 150 posti nella più piccola per chi deve essere rimpatriato; in più ci sono fino a 20 posti nella “mini prigione” costruita per chi dovesse commettere reati dentro al Cpr o per chi avesse dei precedenti. Un totale molto lontano dai tremila dichiarati.
Il costo complessivo, i tempi di costruzione e le modalità di gestione non lasciano presagire niente di buono. Se l’obbiettivo del governo era spostare il “problema migranti” fuori dal paese facendone uno spot elettorale, possiamo dire che la missione non è andata a buon fine. La storia dei Cpr in Albania sembra essere quella di tantissime opere pubbliche italiane: nate con poco senso, costruite in maxi ritardo, divenute inutilizzate dopo poco tempo.