Il CPR di San Gervasio, centro di permanenza per il rimpatrio, si trova al confine tra Puglia e Basilicata. Cancello tutt’altro che dorato preludio di un incerto e problematico futuro. Dove la giustizia, allo sventolare di diverse bandiere, dimentica tristemente il suo dovere di uguaglianza.
Il CPR di San Gervasio
Il centro con i suoi alti edifici di scarsa fattura è oramai noto per le vicende che arricchiscono la triste pagina nazionale sui migranti. Inaugurato più di dieci anni fa in tutta fretta, come le altre strutture esistenti e dislocate sul territorio, ospita transitoriamente soggetti stranieri sprovvisti di regolare permesso di soggiorno. I quali attendono qui il dispiego delle pratiche necessarie per il rimpatrio. Ad essere contestato è un illecito amministrativo che giustifica la detenzione, ma questo non dovrebbe consentire un decremento della disciplina applicata nei casi di privazione della libertà personale. Questo non toglie che il diritto di difesa sancito in Costituzione dovrebbe essere poi anche effettivamente garantito. Il condizionale è d’obbligo considerati i trascorsi che hanno visto come protagonista proprio il CPR di San Gervasio.
Numerose sono state infatti le inchieste giornalistiche che si sono svolte attorno ad una gestione a più riprese criticata e contestata.
Il centro per l’immigrazione della Basilicata aveva inoltrato varie preoccupate segnalazioni, a seguito degli appelli dei famigliari dei migranti detenuti. Completamente all’oscuro delle sorti toccate ai loro cari. Le informazioni emerse grazie anche agli attivisti e ai difensori dei soggetti coinvolti hanno portato alla chiusura del CPR di San Gervasio fino allo scorso febbraio.
Il diritto di difesa
Nonostante la sua centralità nella grande famiglia dei diritti fondamentali, quello di difesa è posto ripetutamente in isolamento all’interno della struttura lucana. I ritardi nei primi contatti con i difensori d’ufficio o di fiducia e l’impossibilità quasi assoluta di comunicazione con l’esterno sono solo alcune delle pratiche, tutt’altro che lecite, portate ancora oggi avanti sotto l’occhio complice dello Stato. Le testimonianze diffuse rivelano una negligenza nel trattamento dei detenuti che va oltre ciò che è legge per finire in un preoccupante disinteresse per ciò che è umanità.
Alcuni esempi sono il divieto assoluto di portare con sé telefoni cellulari dotati di fotocamera per evitare riprese e testimonianze delle reiterate angherie subite. E, ove queste fossero presenti, vengono inesorabilmente frantumate per prevenire ogni rischio. O ancora le repentine decisioni di rimpatrio senza alcuna forma di ausilio nella fase esecutiva. Pratiche che somigliano molto a quelle di un centro di smistamento Amazon con reso di merce non gradita al mittente. Con la sola, ma certo non trascurabile differenza, che non si tratta di difettosi suppellettili per la casa.
Vengono abbandonati a destreggiarsi nel labirinto dei trasporti regionali di una Terra che speravano di conoscere verso un Paese dalla cui miseria tentavano di fuggire. Spesso sono le sedi della Caritas del luogo ad accogliere questi “profughi” affaticati e provati dalla mareggiata burocratica dalla gestione sbrigativa e superficiale del CPR.
Lacune nella gestione del CPR di San Gervasio
Pesante è poi l’assenza di un garante per il controllo del rispetto dei diritti. Questa figura è presente solo in veste nazionale a seguito della direttiva Europea del 2008 che ne esortava l’istituzione; per quanto questa sia stata tardiva in Italia rispetto ad altri Paesi nei quali è, già da tempo, particolarmente rilevante. Mentre questa figura non è prevista in tutte le regioni. La Basilicata è una di quelle in cui difetterebbe il nesso Stato-ente locale necessario per un operato coordinato ed effettivo. A mancare è quindi una figura istituzionale locale che controlli il rispetto dei valori imprescindibili di chi è persona prima che pratica da smistare.
Che fine ha fatto il diritto alla salute?
Come se tutto questo non bastasse la lista dei diritti umani sacrificati non è ancora conclusa. Anche alla salute non sembra essere riservato un trattamento migliore. Con la pandemia la situazione non è certo migliorata, con la quasi totale assenza di ogni precauzione contro un virus che si è dimostrato fin troppo democratico con le sue vittime. Nutriti anche con cibo avariato e fisicamente provati dalla permanenza in un luogo inadatto ad una detenzione anche solo temporanea che possa dirsi soddisfacente, non ricevono l’assistenza medica di cui necessitano.
Viene così mortificata la civiltà a colpi di indifferenza da un apparato che omertosamente zittisce le grida di coloro che perdono ogni giorno di più la propria dignità. Rinnegati ed emarginati da un sistema che incapace ad accoglierli non sembra neanche in grado di rispettarli.
Sofia Margiotta