Se negli anni Ottanta si parlava di “rivoluzione del tempo scelto”, ora si pone la questione per gli “spazi scelti”: dove lavorare, come e soprattutto con chi.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una rapida diffusione di spazi organizzativi, che sta diventando una realtà sempre più radicata. Un nuovo modo di lavorare. Si tratta di un luogo dinamico in cui diverse persone, che non necessariamente operano nello stesso settore, lavorano condividendo lo spazio e le risorse di un normale ufficio. Sono i coworking – ma anche fablab, maker space, hackerspace, oltre ai più tradizionali incubatori e acceleratori di impresa -. Una tendenza il cui segmento vale già 16 miliardi di dollari, non ha alcun competitore globale ed ha un trend di crescita spaventoso.
Un fenomeno accelerato dalla convergenza di alcune trasformazioni a livello macro e micro ambientali. La miniaturizzazione delle tecnologie e la diffusione di soluzioni cosiddette cloud che consentono di accedere ai propri documenti da qualsiasi postazione, anche mobile; la diffusione del lavoro indipendente, particolarmente accentuata in Italia, dove interessa il 23% dell’occupazione complessiva; la digitalizzazione dell’economia (anche manifatturiera) e il rafforzamento di mercati globali del lavoro.
In questo contesto di globalizzazione dell’economia e di crescente competizione le soluzioni organizzative di successo sono sempre più orientate alla libertà e alla capacità. Mettere insieme talenti e abilità diverse, accomunate dalla voglia di apprendere e arricchire le competenze in un ambiente contaminato sotto il profilo attitudinale e favorevole alla trasmissione dei saperi. Inoltre, il focus dell’attenzione si sta spostando dal singolo lavoratore alla rete in cui è inserito. Il capitale umano acquista sempre più valore grazie alla rivalutazione del capitale sociale. Una rete di relazioni che consente la circolazione delle informazioni e delle conoscenze che creano competitività e innovazione. L’azione individuale e quella collettiva lasciano il posto all’azione connettiva.
A queste trasformazioni lavorative si accompagnano importanti cambiamenti culturali, tra cui la rottura delle logiche di omofilia che hanno guidato finora l’organizzazione del lavoro. L‘innovazione sociale – concetto attorno a cui ruota la nuova strategia dell’Unione Europea per la crescita – non nasce in gruppi di lavoro omogenei al loro interno, ma dall’incontro tra persone, competenze ed esperienze diverse. In questa profonda trasformazione socio-culturale si collocano la crescita e la diffusione del coworking, inteso come innovativa forma di lavoro.
Il coworking nasce nel 2005 quando Brad Neuberg usa il termine – coniato nel ’99 da Bernie DeKoven, famoso progettista di giochi, indicava il lavoro collaborativo effettuato con il supporto delle tecnologie – per descrivere uno spazio fisico condiviso da lavoratori indipendenti e dinamici. Fonda il primo coworking, la Hat Factory, in un loft a San Francisco. L’anno successivo a New York cominciano a diffondersi i Jellies, incontri occasionali dove piccoli gruppi di persone hanno la possibilità di condividere idee e collaborare in un’atmosfera informale. Al contrario di quanto avviene con i coworking, l’adesione ad un Jelly non è subordinata al possesso di una membership, non vi sono responsabilità né costi. Il fenomeno cattura l’attenzione dei media di tutto il mondo. Diventa una filosofia lavorativa in cui una comunità di lavoratori – i coworkers – condivide un ambiente pur non facendo parte della stessa organizzazione.
Nel 2010 nasce Deskmag (www.deskmag.com) la prima rivista online specializzata in coworking, anno in cui ha luogo la prima edizione della Coworking Europe Conference.
Diffuso, nel mondo, in Europa, e anche in Italia si nota un graduale ed irrefrenabile aumento delle realtà e spazi di coworking. Ad Aprile 2016, infatti, se ne registravano ben 349, un traguardo che oggi dovrebbe essere abbondantemente superato. Le città con una maggiore densità sono Milano (88 coworking), Roma (29) quindi Torino (15) Firenze (14) e Venezia (13). Alcuni, tra cui CoWo, The Hub (con spazi dislocati nelle maggiori città italiane),Toolbox, Lab121, Multiverso, PianoC, Talent Garden.
I destinatari privilegiati sono freelance e piccoli imprenditori, ma può interessare anche disoccupati e lavoratori dipendenti. Ed è per questo che le amministrazioni pubbliche iniziano a guardare ai coworking con interesse e a sperimentare attraverso questi spazi nuove politiche del lavoro.
Felicia Bruscino