Il Covid può essere una opportunità per il clima, grazie a un patto etico tra vecchie e nuove generazioni
Perché ormai è necessario un patto etico tra generazioni? E’ un percorso lungo, iniziato nel 1990, quando l’umanità prende coscienza che il clima sta cambiando. Mentre si tenta di affrontare con maggiore serietà il problema dei gas climalteranti, la temperatura media globale registra un aumento dell’1,1 grado rispetto all’era pre-industriale.
Si susseguono le Conferenze sul clima (Cop). Tracciando un percorso politico ed economico ondivago, inadatto a risolvere il cambiamento climatico. Neppure dopo il fallimento del Protocollo di Kyoto del 1997, la comunità internazionale riuscirà a dar vita a un trattato vincolante, che impegni tutti i Paesi a fare la propria parte.
L’Accordo di Parigi del 2015 che avrebbe dovuto rappresentare una svolta – aderiscono 196 Stati – si rivela presto uno strumento inefficace. A dimostrazione ci sono i dati dell’Eia (Agenzia Internazionale per l’Energia): sia nel 2018 sia nel 2019 si registra infatti un incremento delle emissioni dei gas serra a livello globale. E i Paesi industrializzati e quelli emergenti sono entrambi responsabili.
Nel 2020 arriva il Coronavirus. La pandemia sconvolge società e sistemi sanitari.
Si apre un dibattito sulla correlazione tra la diffusione di virus come la Sars-Cov-2 e il cambiamento climatico: deforestazione, impoverimento dei suoli, urbanizzazione senza freni e una convivenza sempre più stretta tra il mondo umano e quello animale.
Il Coronavirus ridefinisce gli stili di vita: dallo smart working a beneficio dell’aria delle aree urbane, ai rapporti sociali con l’imposizione del distanziamento sociale e delle mascherine. Una “piccola rivoluzione” sociale e culturale. Il nuovo virus dà impulso ad azioni straordinarie e il più delle volte tempestive per difendere la salute di milioni di persone (eccezioni a parte) e comincia a gettare luce sull’effettiva necessità di un patto etico tra generazioni.
Il parallelismo tra emergenza sanitaria e quella climatica
Alcuni studiosi dell’Istituto di ricerca sull’impatto climatico di Potsdam (PIK, Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung) sostengono il parallelismo tra l’emergenza Covid-19 e quella climatica.
Certi Stati hanno saputo gestire l’epidemia meglio di altri. Per esempio, la Germania o la Nuova Zelanda, nonostante resti un margine di incertezza sulla evoluzione del virus fino alla scoperta di un vaccino. Anche se per debellarlo serviranno molti anni.
Perché allora non applicare il “metodo” impiegato per arginare l’epidemia al problema climatico, stringendo finalmente un patto etico tra generazioni vecchie e nuove?
Al fine di impedire che entro il 2050 la temperatura media globale aumenti dell’1,5 grado o nella peggiore delle ipotesi di 2 gradi, servono “diagnosi, prognosi, terapia e riabilitazione” sulle problematiche ambientali: gli incendi eccezionali in California e Australia; la siccità; lo scioglimento dei ghiacciai; le temperature record nell’emisfero nord; l’intensificarsi dei monsoni, degli uragani e delle tempeste tropicali, sempre più frequenti anche in zone dove normalmente non dovrebbero verificarsi; la desertificazione; infine la piaga delle cavallette in diversi Stati africani e non solo.
Una lunga lista, che racchiude solo una piccolissima parte di ciò che è sotto gli occhi di tutti.
Un trattato per un patto etico tra generazioni
Per gli studiosi di Potsdam dunque le regole elaborate per evitare il collasso dei sistemi sanitari – e c’è un parallelismo con l’ecosistema in cui viviamo – possono aiutare a dare una accelerazione alla lotta in difesa del clima. Attraverso un trattato, e non un accordo non vincolante, che chiamano “clima-corona”. A guidarlo – spiegano – principi di giustizia sociale, solidarietà e l’urgenza di tutelare vecchie e nuove generazioni. Nessuno escluso.
Seduti a un tavolo, tutti i Paesi coinvolti dalla pandemia – così come dalle problematiche ambientali – chiedono ai giovani di fare la propria parte, rispettando norme necessarie per difendere gli anziani più esposti al virus in termini di tasso di mortalità.
In cambio, le generazioni anziane (le classi dirigenti) s’impegnano a difendere il clima e il pianeta. L’ingrediente segreto è la solidarietà. Espressa molte volte in principi generali consuetudinari e non. La stessa solidarietà a cui abbiamo assistito o magari a cui abbiamo preso parte in questi mesi nel pieno della emergenza a tutela della salute. Anche con piccoli gesti quotidiani.
Intanto azioni che possono, sulla scia degli effetti profondi che questa pandemia sta generando, accelerare la rivoluzione verde ci sono.
E alcune le mette a disposizione la globalizzazione stessa. Il multilateralismo, per esempio, meglio di qualsiasi barriera all’entrata o forma di nazionalismo. Racconta il Financial Times come la Germania preveda di raccogliere oltre 6 miliardi di dollari dai green bond. Il Paese fa ricorso al mercato, compiendo una scelta precisa, utilissima per gli investimenti “green” – energie rinnovabili, piste ciclabili, promozione del trasporto su ferro – oltre che per la ripresa economica.
Il giornale inglese spiega che la emissione di debito tedesco a dieci anni avrà come nuovo parametro di riferimento proprio il settore “green”. La cancelliera Angela Merkel che, in diverse occasioni è stata costretta a scendere a compromessi su clima e ambiente, con questa pandemia dichiara: “La protezione ambientale deve giocare un ruolo centrale in Europa per la ripresa dalla crisi generata dal Coronavirus”.
Alcuni semi sono già stati piantati, come l’annunciato Green New Deal europeo. Ora però, come suggeriscono questi studiosi tedeschi, impariamo. Liberandoci da bias dannosi.
È il metodo che serve, perché nelle piazze dei Fridays For Future non ci siano più giovani spaventati del proprio futuro. E salute e ambiente diventino finalmente l’uno indispensabile all’altro. Prima che sia davvero troppo tardi per agire.
Chiara Colangelo
Il 2050 è già a meno di trent’anni, solo una generazione, ma il permafrost non ha più tempo. Esplode dal caldo in Siberia. Forse ai tempi di “Kyoto” se l’umanità avesse capito, avrebbe potuto organizzare il PIL al NETTO della distruzione della Biodiversità e dell’Ambiente.
Ok a Protocolli, Accordi, Trattati, Patti più o meno etici, ma ancora manca la reale volontà di salvare il pianeta a costo di grandi sacrifici per le future generazioni.
Serve una preventiva visione comune internazionale che semini una nuova onerosa cultura di protezione della Terra, perché non ne abbiamo un’altra gratis.
Caro Luigi, non riesco a darti torto quando arrivano notizie sempre più allarmanti dalla Siberia o dall’Artico (in verità oramai da qualsiasi angolo del mondo). E’ anche vero però che chi tenta di scrivere ha il compito di lanciare diciamo “proposte”, “provocazioni” per misurare la sensibilità del lettore. Il tuo commento dimostra questa sensibilità sul tema. Ed è un bene. Voglio invitarti a leggere un libro che mi è stato consigliato, ed è molto interessante: “Un Green New Deal globale” di Jeremy Rifkin. Credo sia importante guardare i problemi anche da un’altra prospettiva, con un fine utilitaristico. Con l’ambiente purtroppo presto o tardi sarà quel fine a smuovere le cose. Certo, molto probabilmente, a un punto in cui più che di lotta al cambiamento climatico saremmo costretti a parlare di azione di adattamento al cambiamento climatico (ed oggi è già in parte vero).