I contagi crescono, continuamente, soprattutto in Lombardia, a Milano. Ma anche in Piemonte, seconda Regione per contagi, dove sono stati chiusi i centri commerciali nel weekend. E ancora Lazio e Campania, le Regioni con maggiori difficoltà, tanto da attivare ordinanze che riportano la didattica a distanza e la limitazione agli spostamenti e per gli esercizi commerciali. E il Veneto sta studiando nuove misure per evitare assembramenti, come anche la Sardegna. Il problema è il tracciamento, che in queste Regioni sembra ormai impossibile e fuori controllo. I posti in ospedale dedicati al Covid sono saturi, le terapie intensive tornano sotto stress e vengono adibiti nuovi reparti negli ospedali ma anche in altre strutture.
E le U.S.C.A. che fine hanno fatto?
Cosa sono le USCA
Unità Speciali di Continuità Assistenziale (U.S.C.A.) sono “volte ad implementare la gestione dell’emergenza sanitaria per l’epidemia da COVID-19 al fine di consentire al medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta o al medico di continuità assistenziale di garantire l’attività assistenziale ordinaria”. Sono quindi dei servizi speciali di assistenza che dovrebbero aiutare la gestione ordinaria degli ospedali e dei pronto soccorso. Infatti, le Unità garantiscono l’assistenza dei pazienti affetti da COVID-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero. Tenendo conto della casistica, della situazione epidemiologica e del fabbisogno di assistenza domiciliare, le Aziende sanitarie istituiscono le U.S.C.A.
Come sono organizzate
Il numero di Unità da attivare è proporzionale alla situazione della diffusione del virus e tiene conto della casistica ovvero del bisogno di assistenza domiciliare per le persone affette da COVID-19.
Le Aziende sanitarie individuano i locali preposti ad accogliere le U.S.C.A., con almeno un ambiente dedicato alla vestizione/svestizione e un altro ambiente per attività di documentazione, comunicazione informatica e stazionamento. Ogni U.S.C.A. è costituita da un numero di medici pari a quelli già attivi nella sede di continuità assistenziale prescelta o da un numero congruo rispetto alla casistica.
Come funzionano
Per evitare che i pazienti sospetti di COVID-19 si rechino presso gli ambulatori di medicina generale, dei Pediatri o nei Pronto soccorso, il Medico di Medicina Generale o il Pediatra, dopo aver svolto attività di triage, attiva il medico dell’U.S.C.A. (e il Medico del Dipartimento di Sanità Pubblica), fornendo nominativo e recapiti.
Il medico dell’U.S.C.A. prima di effettuare l’intervento, contatta telefonicamente il paziente da visitare per verificarne le condizioni di salute e programmare l’intervento. Spetterà al medico dell’U.S.C.A. decidere, in base alle informazioni e richieste ricevute, quali priorità assegnare all’attività.
Il reclutamento dei medici da inserire nelle U.S.C.A. è su base volontaria. Quindi giovani medici armati di buona volontà e spiccato spirito di servizio possono dare una mano in queste basi territoriali, tanto preziose in questo momento di allerta e sovraffollamento degli ospedali.
Magari la realtà fosse come quella sulla carta
Molti consiglieri regionali di diverse Regioni hanno lamentato il fatto che molte Unità non sono a pieno regime, alcune non sono in funzione e in altre c’è carenza di medici e infermieri. Del resto, nessuna provincia ha un numero di Unità pari a quello preventivato. In Lombardia, le U.S.C.A. attivate sono solo una quarantina rispetto alle 200 previste: solo il 20 per cento.
Un esempio a Napoli
La Campania è tra le Regioni più colpite. Ebbene la testimonianza di una dottoressa delle U.S.C.A non va nella direzione di quella che dovrebbe essere la finalità. Delegata sindacale della Fimmg, denuncia gravi mancanze e disorganizzazione.
“Ci chiamano quando ce n’è bisogno, secondo una lista di disponibilità compilata e aggiornata di settimana in settimana. Al momento le Unità a Napoli sono 6 o 7 ma il numero può cambiare in base alle esigenze e ai tamponi prenotati. I medici volontari delle U.S.C.A. si spostavano prima con dei camper, ora hanno dei furgoni”, spiega la dottoressa.
Secondo lei, occorre migliorare i collegamenti tra i vari segmenti assistenziali. “Attualmente non abbiamo un contatto diretto col medico di medicina generale che ha richiesto il tampone né abbiamo notizie sulla situazione clinica del malato. Facciamo il tampone: se è positivo la Asl lo monitora con una telefonata ma nessuno prende in carico quella persona e la sua famiglia. C’è una grande esigenza dei malati di essere curati. Dopo il tampone non li vediamo più”.
Un ruolo territoriale di connessione tra le strutture
Le U.S.C.A. potrebbero svolgere un ruolo territoriale connettivo importantissimo, ancor più se avranno anche il compito di visitare e curare il paziente a casa. “Siamo pronti ad assumerci queste responsabilità. I malati hanno bisogno di cure e non solo di tamponi. Manca L’anello cruciale di chi ascolta il malato, ne raccoglie il racconto, osserva i sintomi, lo visita, gli dà i farmaci, dispone un prelievo o un esame radiografico. Sarebbe utile avere un riferimento specialistico ospedaliero con cui consultarsi, ovvero percorsi facilitati e prestabiliti in un ospedale di riferimento in cui effettuare prelievi, una Tac, una radiografia così da disporre ricoveri solo se necessario”. Invece, in questa Unità fanno il prelievo, telefonano al dipartimento e alla fine del processo, se il 118 valuta non grave la situazione, non interviene.
Marta Fresolone