Il nuovo Protocollo del Ministero della Salute è pronto: gli antibiotici non potranno essere usati per la prevenzione e il trattamento del Covid-19. Tuttavia, perché una notizia del genere sta destando tanto clamore? Cerchiamo di fare chiarezza.
Lo Studio sul Covid-19
È stato di recente pubblicato sulla rivista scientifica Lancet, un interessante approfondimento circa il corretto protocollo da usare nella gestione del paziente Covid-19. Il nocciolo dello studio riguarda la appropriatezza o meno di utilizzo degli antibiotici nella prevenzione e nel trattamento del malato affetto dal nuovo coronavirus.
Gli Antibiotici
Gli antibiotici sono farmaci utilizzati per il controllo delle infezioni batteriche. Quindi non combattono in nessun modo alcuna forma virale, né mai in passato hanno avuto questo compito. Dunque, perché mai parlare di Covid-19 e antibiotici, quando questi appaiono non appropriati nel suo controllo?
Eppure, oggi la pandemia da Covid-19 ha causato nettamente meno morti rispetto a quella di Influenza A del 1918 H1N1, quando gli antibiotici erano invece meno disponibili rispetto ai giorni nostri. Questo perché la maggior parte dei decessi causati dall’influenza pandemica del 1918 era attribuibile a polmoniti batteriche secondarie. I suddetti antibiotici avrebbero controllato molto meglio queste ultime, se solo fossero stati disponibili in modo adeguato.
La sovrainfezione
In generale, quando un patogeno virale (il Coronavirus nel Covid-19 o Orthomyxovirus nell’influenza) infetta un essere umano, questi aumenta il rischio di sovrainfezione batterica. Ogni virus tende infatti a indebolire il sistema immunitario del paziente, rendendolo quindi maggiormente vulnerabile e predisposto all’attacco di batteri.
Batteri come Staphylococcus aureus e Streptococcus pneumoniae, che in un soggetto sano sono contrastati e sconfitti dalle difese immunitarie, in un soggetto indebolito possono metterne a rischio la salute. Questo perché i batteri contribuiscono a generare la “tempesta citochinica”, ovverossia l’infiammazione in sede polmonare o, nelle forme più gravi, sistemica.
A tal proposito, su Lancet si evidenzia come vi sia una stretta correlazione tra prodotti batterici nel sangue e gravità della malattia da Covid-19. Si noti che non stiamo più riferendoci alle proteine virali che ci aspetteremmo in primis di individuare nel paziente affetto da Covid-19, bensì di frammenti batterici.
Ma allora, perché essere così restii a questi antibiotici?
La risposta è semplice. Quanto più un determinato antibiotico viene utilizzato per combattere un batterio, tanto più col tempo si svilupperà un batterio capace di resistere a quell’antibiotico. L’effetto è scontato: l’antibiotico avrà perso tutta la sua efficacia. A tal proposito, Lancet sottolinea come ogni anno vi siano 700mila decessi da infezioni resistenti agli antibiotici. La previsione per il 2050, è di 10 milioni di vittime all’anno.
Il rischio di una nuova “pandemia”
Nella pandemia da Covid-19, quindi, il rischio è di generare una “pandemia da antibiotico-resistenza”. Ed è dunque questo il motivo alla base del rigoroso controllo nella somministrazione di antibiotici. Infatti, accade spesso che nei casi di peggioramento di un paziente affetto da una forma virale, quale appunto una polmonite secondaria a sovrainfezione batterica, si somministri una terapia antibiotica “empirica”. Viene quindi somministrato l’antibiotico che si ritiene più efficace in forma teorica e statistica, in attesa della conferma diagnostica di sovrainfezione. Il riconoscimento del batterio colpevole della sovrainfezione non è immediato, al contrario dell’intervento che deve essere repentino, vista la gravità clinica di alcuni possibili casi.
Una nuova piattaforma diagnostica
Dunque, gli antibiotici salvano vite e l’accesso agli antibiotici è fondamentale. Nel caso del Covid-19, su Lancet lo studio suggerisce di sviluppare una piattaforma diagnostica, capace di stratificare i pazienti per probabilità di rischio di sviluppare una sovrainfezione batterica.
Il suggerimento è quello di integrare l’età del paziente, test immunitari rapidi per Covid-19 e i valori di procalcitonina nella gestione del paziente. La procalcitonina è un marcatore presente nel sangue in caso di infezione esclusivamente batterica. Vuol dire che, in un paziente affetto da Covid-19, in assenza di sovrainfezione, la procalcitonina avrà valori nella norma. Un suo innalzamento deve quindi essere un campanello di allarme, visto il rischio di sviluppare una polmonite secondaria.
Conclusione
In conclusione, appare quindi motivata la decisione di non utilizzare antibiotici nella gestione del paziente affetto da Covid-19, salvo casi di diagnosticata e accertata sovrainfezione batterica. Risulta inoltre necessaria la comprensione che un uso smodato di antibiotici nella attuale pandemia da Covid-19 potrebbe favorirne una ben più grave nel futuro, non virale bensì da farmaco-resistenza e che, al tempo stesso, è stata una carenza di antibiotici nel 1918 ad aver causato milioni di decessi nella pandemia di influenza.
Sarebbe da dire che in medio stat virtus.
Agostino Fernicola