Non sempre il passaggio alle energie rinnovabili produce gli stessi effettivi positivi in ogni parte del pianeta. Ad oggi la transizione energetica in Africa non è riuscita a creare nessun circolo virtuoso mettendo a rischio la sicurezza di migliaia di posti di lavoro nel settore dei combustibili fossili. A rivelarlo è il rapporto di Ecofin Pro, la piattaforma agenziale di Ecofin dedicata ai professionisti, che getta luce sui pericoli di una decarbonizzazione forzata nei paesi del continente nero.
Accelerare il passaggio alle fonti energetiche alternative, abbandonando quelle fossili è il mantra che da anni si va ripetendo nei principali consessi internazionali. Ma centrare gli obiettivi stabiliti dall’Accordo di Parigi resta un traguardo estremamente difficile da raggiungere mentre il tempo per elevare ambizioni e promesse al rango di impegni concreti non è eterno. Del resto, la decarbonizzazione, specie quando forzata, difficilmente produce i medesimi effetti benefici in ogni parte del mondo. Le difficoltà incontrate dalla transizione energetica in Africa ed emerse dal rapporto Ecofin Pro sembrerebbero confermare questa tendenza.
Intitolato “L’impatto della transizione energetica sull’occupazione nei combustibili fossili in Africa”, il rapporto, redatto dalla piattaforma agenziale di Ecofin dedicata ai professionisti, mette in guardia dal rischio che l’attuale andamento delle politiche energetiche green intraprese dai paesi africani possa cancellare la maggior parte dei posti di lavoro attualmente occupati nel settore dei combustibili fossili.
Ciò che emerge in modo piuttosto incontrovertibile dal rapporto è che mentre del mondo la crescita degli investimenti nelle energie rinnovabili ha dato luogo ad un aumento sostenuto del numero di posti di lavoro, la transizione energetica in Africa non è riuscita a produrre un impatto positivo degno di nota.
Secondo i dati raccolti dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Rinnovabile (Irena) nel 2022 il settore delle energie rinnovabili contava 13,7 milioni di lavoratori in tutto il mondo . Tuttavia, più della metà di questi posti di lavoro (oltre il 58%) ha contribuito a rafforzare soltanto alcune economie a discapito di altre. In particolare, a beneficiare della spinta della rivoluzione green sono state soprattutto Cina, India, Brasile e Stati Uniti. In Africa, invece, le principali aziende coinvolte nel settore dei combustibili fossili hanno continuato ad attuare instancabilmente i loro piani di neutralità del carbonio senza aumentare il supporto in termini di investimenti e riqualificazione del personale impiegato nel settore fossile.
L’eccezione Africana
La transizione energetica in Africa continua a muoversi in ordine sparso più che in ogni altro luogo sul pianeta mentre per le numerose multinazionali presenti in loco il continente resta in definitiva una riserva di caccia facilmente accessibile in quanto scarsamente tutelata.
Il sistema economico di stati come Nigeria, Angola, Mozambico ed Egitto, fortemente incentrati sulle entrate derivanti dall’estrazione ed esportazione di combustibili fossili, si sta rivelando sempre più problematico. Gli effetti devastanti del cambiamento climatico e la dipendenza esclusiva dal settore petrolifero, tradottasi in un’elevata volatilità della crescita del PIL, hanno ridotto enormemente le prospettive di crescita economica a lungo termine di questi paesi.
Ma nonostante i rischi per la popolazione e l’ambiente, il consolidamento dell’attuale status quo continua ad essere garantito dall’assenza di linee guida chiare nelle politiche pubbliche dei paesi produttori di combustibili fossili, se si esclude l’adesione di questi stessi all’accordo di Parigi.
Finora, gli scarsi investimenti nelle energie rinnovabili hanno vanificato gran parte dei buoni propositi dell’Unione europea di guidare i partners africani nello sviluppo dell’eolico e del solare, per assicurare alla popolazione accesso all’elettricità e creazione di nuovi posti di lavoro.
In Africa, l’approccio prevalente continua ad essere quello incentrato su piccoli progetti di energia rinnovabile, sotto-alimentato da un trasferimento insufficiente di tecnologie in grado di promuovere la creazione di posti di lavoro sostenibili. Secondo Carbon Tracker, nei prossimi due decenni questo modello di decarbonizzazione forzata comporterà perdite di entrate che oscilleranno dal 69% in Nigeria all’87% in Sudan, rispetto al lustro precedente (2015 2019). E la stessa sorte potrebbe toccare anche ad altri paesi come Angola, Ciad e Gabon.
I limiti della transizione energetica in Africa
Nel 2022 il settore delle energie rinnovabili in Africa ha registrato 320 mila lavoratori segnando un calo dello 0,6 per cento rispetto al 2018. L’insicurezza alla quale sono esposti i lavoratori impiegati dell’industria del carbonfossile era stata già denunciata da un rapporto della società di consulenza McKinsey -“Green Africa, un’agenda di crescita e resilienza per il continente”. Pubblicato nell’ottobre 2021, lo studio metteva in guardia dai rischi provocati da una transizione energetica forzata in Africa, prevedendo la perdita di un milione di posti di lavoro nel continente nei prossimi anni.
Queste cifre sono la dimostrazione di come l’estrema vulnerabilità dei sistemi economici e politici dei paesi africani rispetto al tema delle energie rinnovabili continui ad aumentare nonostante i numerosi programmi di investimento predisposti dall’Unione europea come il Global Gateway Africa-Europe Investment Package.
Iniziare un percorso virtuoso per la transizione energetica in Africa richiede, dunque, un impegno congiunto da parte di governi locali e attori internazionali. In tal senso, il rapporto di Ecofin pro insiste sulla necessità di attuare un percorso di riforme istituzionali stabili e durature. Agire sul piano della programmazione politica consentirebbe ai paesi africani di rendere strutturali i finanziamenti destinati al settore, segnando una linea di discontinuità netta rispetto al presente in cui la decarbonizzazione nel continente nero è segnata da scarsa progettualità e trasferimenti di tecnologie largamente insufficienti per promuovere la creazione di posti di lavoro sostenibili.
Invertire la rotta si può: il modello del Sudafrica
Le sfide per rendere performante la transizione energetica in Africa sono numerose e complesse. Sempre McKinsey stima che una corretta attuazione delle raccomandazioni per ottenere l’implementazione di una corretta politica continentale in materia di energie rinnovabili potrebbe creare più di 800.000 posti di lavoro diretti e indiretti in Africa entro il 2030, avvertendo al contempo che entro il 2040 più della metà della produzione petrolifera africana rischia di diventare non più redditizia.
In un panorama segnato da una forte incertezza sul futuro della transizione energetica in Africa, è possibile tuttavia scorgere alcune iniziative incoraggianti da parte di paesi sempre più proiettati al mercato globale delle energie rinnovabili. E’ questo, ad esempio, il caso del Sudafrica che nel 2021 si è impegnato a sviluppare una roadmap con l’obiettivo di attualizzare i primi risultati concreti della transizione energetica tra il 2023 e il 2027.
Il documento prodotto dal governo sudafricano e dal titolo piuttosto esplicito: “Il nostro piano di investimenti per una transizione energetica giusta (JET IP)” prevede un investimento di circa 151 milioni di dollari da destinare a programmi di riqualificazione in tutto il Paese.
Tra le principali aree d’intervento interessate dal JET IP, rientrano l’istruzione, la formazione, gli stage e le esperienze lavorative, per le quali è stata prevista una spesa di 42 milioni di dollari. Ulteriori fondi aggiuntivi sono stati destinati alla cura dei lavoratori del settore del carbone, compresa la riqualificazione, la riassegnazione, il collocamento e il sostegno temporaneo al reddito. A distanza di tre anni, gli sforzi compiuti dal Presidente sudafricano Matamela Cyril Ramaphosa hanno iniziato a dare i primi risultati apprezzabili: ad oggi, il 22% dei posti di lavoro generati nel settore dell’energia pulita in Africa si trova in Sud Africa mentre in altre parti del continente le iniziative di questo tipo restano esperienze più uniche che rare.
Nel 2022 anche la Banca africana per lo sviluppo (AfDB), si è impegnata a sostenere la politica energetica del Sudafrica improntata alla decarbonizzazione, raccogliendo 27 miliardi di dollari in finanziamenti. La strada intrapresa da Pretoria sembrerebbe essere quella giusta per rendere strutturali piani di investimento nelle energie rinnovabili anche in altri paesi del continente.
Il nodo principale della transizione energetica in Africa resta, infatti, quello della ricollocazione dei lavoratori impiegati nel settore dei combustibili fossili. Per superare questo ostacolo è però necessario promuovere l’istituzione di programmi di riqualificazione professionale, incentivando l’acquisizione di nuove competenze che siano funzionali ai cambiamenti nel mercato del lavoro. In questo scenario, il reindirizzamento degli incentivi di finanza pubblica, lontano da progetti di esplorazione e sviluppo di gas e di petrolio sarebbe già un ottimo inizio.