Non solo Costituzione, solennità e protocolli: l’elezione del presidente della repubblica fornisce sempre aneddoti che restano nella storia
No, non si tratta del solito articolo in merito a Berlusconi come possibile candidato alla presidenza della Repubblica. E nemmeno di un approfondimento tecnico sui quorum e sugli spogli elettorali. Semplicemente, oggi vi vogliamo dare uno spaccato delle cose strane che sono successe nella storia del nostro Paese quando il Parlamento in seduta comune è stato chiamato a votare per il Presidente della Repubblica, un evento che, ricco di solennità e di protocolli ossequiosi, spesso lascia spazio anche per aneddoti più coloriti.
C’è stato un parlamentare che ha strappato la scheda
Siamo nel 1948 ed è il momento di eleggere il primo presidente repubblicano. Tra le fila dei deputati figura anche un giovane Giovanni Francesco Stefano Ippolito Oliviero Agilulfo Pio Giacomo Orazio Maria Brasilino, per gli amici Gianfranco Alliata di Montereale e Villafranca è formalmente un giovane principe che porta avanti forti convincimenti monarchici. Per esternare il suo disappunto in merito a una volgare elezione del Capo dello Stato, annuncia la sua astensione strappando la scheda. Il Parlamento risponde con veemenza, mentre dai banchi degli avversari si levano dei forti “Viva la Repubblica”. Il presidente della Camera Gronchi riprende il deputato e la manifestazione di dissenso si conclude velocemente.
Ci sono state delle schede già compilate
Nel 1962, Antonio Segni è eletto presidente della Repubblica. Il suo partito, la Democrazia Cristiana, è tutto frammentato: c’è chi sostiene Giovanni Leone, chi invece punta su Amintore Fanfani o Giovanni Gronchi. Il timore, come sempre, è quello dei franchi tiratori: ci sono numerosi incerti che potrebbero “bruciare” i candidati, come si verifica spesso in questi casi (è accaduto ad esempio con Romano Prodi). Alcuni democristiani sostenitori di Segni decidono bene di procurarsi dai commessi parlamentari due schede e di precompilarle per i compagni di partito più incerti. Il trucco, ovviamente, ha vita breve: molti dei democristiani se la prendono e scatta una baruffa interna, sintentizzata dall’onorevole Rapelli che dice “Bisognerebbe votare nudi”.
Voto in smart working
Due anni dopo l’elezione, alcuni problemi di salute portano il presidente Segni a rassegnare le dimissioni. Si organizzano dunque le elezioni e l’onorevole Cassiani, che al momento non può camminare a causa di un incidente stradale, vuole comunque votare. Il presidente della Camera, allora, gli concede di esprimere il suo voto dal posto, con l’urna (chiamata “insalatiera”) che viene temporaneamente traslata vicino al suo banco.
“Nano maledetto, non sarai mai eletto”
Vi preghiamo di prendere le distanze da facili ironie. Il 1971 Amintore Fanfani, democristiano e presidente del Senato con ambizioni quirinalistiche, non incontra l’appoggio del parlamento. Per qualcuno il suo nome è così indigesto che preferisce rinunciare al voto e restare nella storia vergando la scheda elettorale con una rima creativa, che recita appunto: “Nano maledetto, non sarai mai eletto”.
I nomi perditempo
Nelle prime tre votazioni, il quorum per l’elezione è più alto: spesso, quindi, le forze politiche sanno di dover attendere il quarto scrutinio per iniziare davvero la battaglia per il Quirinale. Nel corso del tempo, tra i nomi comparsi per la Presidenza della Repubblica, il Parlamento ha sentito risuonare Valentino Rossi, Vasco Rossi, Rocco Siffredi, Sabrina Ferilli, Ezio Greggio, Gianfranco Magalli. I voti burla hanno riguardato anche il Conte Mascetti, quello della Supercazzola di Amici miei, Veronica Lario e Sophia Loren.
Non fermarsi neanche un secondo
Votare un presidente del Partito Comunista non deve essere facile per chi ha simpatie politiche opposte: il nome di Giorgio Napolitano, non c’è da stupirsi, non ha suscitato grandi entusiasmi nell’allora Casa delle Libertà trainata da Silvio Berlusconi. L’indicazione dei capi di partito è precisa: sfilare sotto le cabine elettorali, detti catafalchi, senza fermarsi nemmeno un minuto sotto le tende di velluto della Camera dei Deputati, come segno di disprezzo verso il nome dell’ormai certo Capo dello Stato. Romano Prodi commentò la bizzarra sfilata dicendo che i parlamentari “correvano come bersaglieri”.
Non moriremo democristiani
Per l’elezione di Sergio Mattarella, la scena politica è in subbuglio, occupata dagli odi et amo tra Renzi e Berlusconi. La Lega Nord, però, si guadagna il suo quarto d’ora di popolarità, quando si presenta in aula con una vecchia prima pagina de Il Manifesto, quotidiano sicuramente lontano dalle letture del Carroccio, che titola “Non moriremo democristiani”. Mattarella, infatti, esponente Dc di lungo corso, è un nome che la Lega non apprezza.
Il recordman Sandro Pertini
Tra i 12 presidenti che si sono susseguiti nella storia repubblicana, Francesco Cossiga è il nome che contraddistingue l’elezione più veloce. È bastato infatti un solo scrutinio e ci ha messo del suo anche il fantomatico “metodo De Mita”, basato sul proporre un nome (e alludere a qualche fumosa promessa) che mettesse d’accordo tutti, con il metodo delle convergenze. Stesso esito, qualche anno dopo, per l’elezione di Carlo Azeglio Ciampi. All’opposto, con 23 votazioni e solo il 51% delle preferenze, l’elezione di Giovanni Leone. La percentuale più alta, invece, è stata accordata a Sandro Pertini, eletto con l’82% dei consensi. Interessante anche la scelta stilistica che ha accompagnato la sua elezione: si presentò in parlamento con un completo bianco che, ovviamente, lo distingueva rispetto al grigiore anonimo delle giacche degli altri quirinabili.
Elisa Ghidini