Era una mattina di febbraio del 2016 quando Patrizio Tosoni, comandante della Polizia Locale di una città nel bresciano, apre la porta della sua abitazione ai colleghi di un comando confinante. Gli agenti inaspettatamente gli notificano un mandato di perquisizione e portano via alcuni oggetti, dalle carte si evince che l’uomo è accusato dell’infamante reato di pedofilia. Ha inizio così un incubo processuale durato un anno e mezzo, incubo che ha rovinato la vita e la carriera di Tosoni e dal quale, con la piena assoluzione, oggi l’oramai ex comandante sta cercando di uscire.
Tra i capi di accusa Tosoni ha dovuto rispondere di prostituzione minorile e detenzione di materiale vietato ai minori. La difesa ha dimostrato l’inconsistenza delle cinque ipotesi processuali a suo carico, smontando uno ad uno i mattoni dell’impianto accusatorio, apparso forzato e inconsistente già al primo grado di giudizio. Una fantasia investigativa che ha rovinato la vita ad un uomo, senza che nessuno abbia assunto le conseguenze di una vicenda tanto tragica quanto assurda.
Cominciamo dalla fine: cosa hai provato alle lettura dell’ultimo stralcio del processo, quando l’ultimo dei cinque capi d’accusa è caduto?
Quando ti cade il mondo addosso, quando perdi tutto, quando il tuo nome è associato al reato più infamante non puoi che provare della rabbia. Per me questa non è la fine, adesso devo riprendermi ciò che mi è stato ingiustamente tolto. Ho affrontato quasi due anni convinto della mia totale estraneità ai fatti, per fortuna la giustizia ha fatto il suo corso: durante tutto il dibattimento era chiaro sin da subito che nei miei confronti era stato montato un caso inconsistente, basato su prove inesistenti e totalmente infondate. Chi mi ha portato davanti ad un giudice forse dimenticava di poter rovinare una vita ad una persona, questo mi fa più rabbia.
Al di là del calvario giudiziario hai dovuto affrontare la gogna mediatica. Sui social network la tua vicenda ha avuto un’eco molto forte, sicuramente per il ruolo di comandante che hai ricoperto. Hai avuto modo di leggere cosa la gente ha pensato di te?
Sì, non nascondo di essermi sentito ferito per questo. Viviamo in un’epoca in cui tutti possono dire ciò che pensano senza filtri, a volte esprimendosi sulle vite degli altri, senza conoscerne i dettagli o le vicissitudini. Ho trovato i commenti e le considerazioni degli altri di un livello molto basso, troppo spesso aggressivo. Io ovviamente ho deciso di affrontare il processo e non perdermi nel giudizio altrui, l’unico segnale che ho voluto dare è il rifiuto categorico di ogni forma di patteggiamento: non potevo accettare sconti per una pena che non meritavo.
Perché credi abbiano accusato proprio te?
Da investigatore quale ero so bene che a volte ci si convince di qualcosa ancora prima di avere delle prove in mano, questo vizia e dirige le indagini a volte.
Ci possono essere tanti motivi, la mia lettura è stata che mi hanno voluto colpire a causa del mio orientamento sessuale. C’è sicuramente stata una volontà di costruire una demonizzazione intorno alla mia immagine. E nonostante la sentenza mi abbia assolto la mia vita è stata rovinata.
Cosa ti ha spinto ad andare avanti?
Ho cercato di condurre una vita quanto più possibile normale e non nascondo che sono stati molti i casi in cui qualcuno si è permesso di fare un commento o di rivolgermi uno sguardo storto: in questi casi anche andare al supermercato può essere devastante. Per fortuna grazie alla mia famiglia e al mio compagno sono riuscito ad andare avanti. Se sei innocente non esiste ragione per nascondersi, nessuno può toglierti il diritto ad avere un’esistenza dignitosa. Io uscivo di casa con la testa alta, sono altre le persone che in questa vicenda dovrebbero vergognarsi.
L’altra faccia di questa vicenda è però nella vicinanza e nel sostegno di chi mi ha creduto fin da subito, anche semplici cittadini che hanno avuto modo di conoscermi durante il mio servizio: c’è chi è andato oltre i titoli dei giornali.
Il processo ha bruscamente interrotto la tua carriera da comandante. Da dove ripartirai?
A febbraio 2016 ho avuto la prima perquisizione e immediatamente avevo informato i miei superiori, assicurando loro che la vicenda si sarebbe risolta in un nulla di fatto e concordando un periodo di ferie prima che scoppiasse il caso mediatico. A settembre mi è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e tre mesi dopo, senza apparente motivo o coincidenza con alcuna procedura giudiziaria, i miei superiori hanno indetto una conferenza stampa: ho appreso dai giornali di essere stato sospeso dal mio ruolo, mi è caduto il mondo addosso. Seppur non dichiarata era chiara la presa di posizione del sindaco e della giunta nei miei confronti: una sentenza ante litteram e una punizione preventiva. Ho dimostrato la mia innocenza e farò di tutto per avere indietro ciò che in anni mi sono costruito: la carriera di una persona onesta non può terminare per la cattiveria altrui.
Cosa hai imparato da questa vicenda?
Da questa avventura ho imparato ad apprezzare le persone in grado di dubitare. Il mondo è pieno di gente che punta il dito ma questo è un meccanismo che può trasformarti da vittima a carnefice da un giorno con l’altro. Il dubbio invece ti impone di fermarti, di riflettere. Avremmo tutti bisogno di riflettere.