BoJo ha avuto quello che voleva. Anzi molto di più: i Conservatori hanno trionfato e ora hanno la maggioranza assoluta in Parlamento, necessaria per portare il Paese fuori dall’Ue senza più guardarsi indietro. Cosa succederà ora con Brexit?
Ad ogni modo: 363 seggi ai Conservatori, 203 ai Laburisti, 48 al Partito Scozzese, 11 per i LibDem e poche briciole per tutti gli altri. Una maggioranza schiacciante, che non si vedeva nel palazzo di Westminster dalla vittoria di Margaret Thatcher del 1987. Il Labour Party, invece, ha subito la peggiore sconfitta dal 1935 e il suo leader Jeremy Corbyn ha già dichiarato che non guiderà il partito alle prossime elezioni. Molti laburisti vorrebbero che se ne andasse già da ora.
Polarizzare tutto attorno alla Brexit
Centralizzare l’elezioni attorno al tema Brexit, per Boris Johnson e i Conservatori si è dimostrata la strategia vincente. La notte dei laburisti deve invece essere stata tremenda, dopo aver visto cadere in mano ai Conservatori territori e seggi storicamente Labour, come Darlington, Sedgefield e Workington.
Solo in Scozia, l’immagine è abbastanza diversa. Il Partito Nazionale Scozzese (SNP) ha guadagnato seggi e il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon ha dichiarato che “è stata una notte eccezionale”. La maggioranza dei Tories a Westminster, infatti, comporterà probabilmente la fine della disputa sulla Brexit, ma potrebbe farsi avanti la scottante questione dell’indipendenza scozzese. Sturgeon ha infatti aggiunto che la Scozia ha mandato un “messaggio molto chiaro”, rifiutando fermamente il governo conservatore di Boris Johnson. Quest’ultimo, quindi, non avrebbe il mandato degli scozzesi a portarli fuori dall’UE.
Brink of disaster per i Laburisti
Al 39 di Victoria Street, sede del partito laburista inglese, l’atmosfera è pesante. Jeremy Corbyn ha parlato di “una notte ovviamente molto deludente”. In un intervento di ringraziamento, ha attaccato molto duramente i media e gli attacchi personali sferrati a lui e alla sua famiglia durante l’accesa campagna elettorale. In molti, tra gli stessi compagni di partito, lo stanno attaccando duramente, attribuendo alla sua scarsa leadership la causa della sconfitta. E’ infatti quantomeno bizzarro constatare che il Labour ha raccolto i risultati più deludenti in alcuni collegi che nel 2016 avevano votato fermamente per il “remain”, contro dunque la Brexit. Una posizione non molto chiara su Brexit, un programma troppo radicale e, come detto, il carisma poco incisivo del Labour avrebbero causato la disfatta di questa tornata elettorale.
It was a very disappointing night.
But I’m proud that we took our message of hope, unity and justice to every part of this country. pic.twitter.com/GohzcCfWkM
— Jeremy Corbyn | Vote today 🌹 (@jeremycorbyn) December 13, 2019
Cosa succederà ora con Brexit?
Il disegno di legge sull’accordo di recesso, che aprirà la strada alla Brexit il 31 gennaio, avrà la sua seconda lettura dei Comuni venerdì 20 dicembre. La Brexit ora è dietro l’angolo. Per il mese e mezzo che ci separa dall’uscita definitiva, il Regno Unito continuerà formalmente a far parte dell’UE. I negoziatori dovranno intanto muoversi in numerosi campi, dalla sicurezza, alla cooperazione in materia di giustizia e, soprattutto, nel commercio. E’ improbabile che in poco più di quaranta giorni si arrivi a concludere le trattative. Trattandosi di un percorso mai svolto prima, l’iter è ancora piuttosto nebuloso, ma dovrebbe svolgersi più o meno con queste tappe:
a. Mandato al gruppo negoziale da parte dell’UE.
Dopo il 31 gennaio, gli stati membri incaricheranno un gruppo di persone che tratteranno con il Regno Unito per le questioni commerciali.
b. Fase operativa di negoziazione tra marzo e giugno.
Si tratta di un accordo composto da migliaia di pagine e che, spesso, necessita di anni per essere portato a compimento, come per uno dei più recenti concluso con il Canada, dopo anni di trattative.
c. Ratifica dell’accordo tra i vari stati membri europei.
Ogni Parlamento interno ai vari stati dovrà approvare il documento.
d. Eventuale richiesta di estensione in caso di ritardi.
Boris Johnson è molto ottimista relativamente alle trattative del punto b. Sostiene infatti che, essendo allineati gli ordinamenti britannico e comunitario, basteranno tre mesi per portare a termine i negoziati e redigere il documento entro giugno. Il Regno Unito potrebbe però richiedere di prolungare il tempo a sua disposizione per la transizione, ma BoJo ha già escluso questa possibilità.
e. Uscita vera e propria: 1 gennaio 2021.
Da qui in poi è tutto ancora da scrivere. Potrebbe uscire senza un accordo, con il famigerato “no deal” e complicare di molto il rapporto con gli altri Paesi. Potrebbe esserci un accordo che, in fondo, non vada a cambiare di molto la vita quotidiana e commerciale delle persone. Certo è che la negoziazione necessita di innegabili compromessi. Compromessi che, Boris Johnson, con questo mandato e forte di questa spinta popolare, potrebbe benissimo far saltare, in uno scenario che, a detta di molti economisti, sarebbe spaventoso. Quindi, no. Non c’è una risposta certa e definitiva. Cosa succederà ora con Brexit se lo sta chiedendo tutto il mondo, Boris Johnson compreso, probabilmente.
Elisa Ghidini