Fare le cose a metà non significa farle male. È autunno e siamo tutti più contenti perché Dente ci ha fatto uno dei suoi regali. Proprio questo 7 ottobre, il cantautore in grado di farci stare bene anche quando fa il malinconico, è uscito dalla porta di casa sua con un nuovo album dal titolo “Canzoni per metà”, un lavoro complesso ma pur sempre accessibile, a conferma dell’enorme talento di questo geniale menestrello della musica italiana.
Il nostro caro Dente questa volta ha deciso di infischiarsene della convenzionale forma canzone, optando per una stesura automatica che va al di là del numero di strofe e ritornelli; metodo efficace per affiancare sentimenti agrodolci a trame musicali caratterizzate da strumenti classici e campioni elettronici. Venti canzoni di ottimo livello dove un Dente sempre sulla sottile soglia dell’ironia racconta le sue storie con proverbiale disincanto, come in “Cosa devo fare” nel cui video si destreggia nei panni di ballerino da carillon.
Il concetto di “metà” in Dente è presente sin dalla copertina dell’album, dove in primo piano compare una sirena atipica, munita di una gamba al posto della pinna caudale, corpo di donna e testa di pesce a bocca rigorosamente aperta, opera del grafico e collage artist di Buenos Aires FEFHU, quasi come se ci fosse una sorta di analogia tra questo essere fantastico e le varie parti che vanno a comporre le venti tracce di quest’album.
Che ne dite? Fila? Mi sa che mi sono perso anch’io, meglio chiedere a Dente stesso.
Ciao Dente, cosa ci racconti a proposito di queste “Canzoni per metà”?
Ciao, non è affatto una domanda semplice! Questa volta sono andato in una direzione meno ovvia. Canzoni per metà” raccoglie canzoni un po’ anomale, apparentemente non sviluppate, come se fossero state lasciate a metà appunto. Resta il fatto che nella mia visione della musica queste non siano ovviamente canzoni incompiute, ritengo infatti che le canzoni sincere e ben fatte abbiano una loro dignità indipendentemente dal numero di strofe e ritornelli che contengono. Tutte quante queste canzoni, anche se non lo sapevano, erano destinate ad una sorte comune: questo album.
Oltre a fare appello alle tue idee, in questo album hai avuto influenze esterne: cinema, letteratura, arte o magari anche altra musica?.
Non ci sono delle influenze precise, non sono in grado di citarti un titolo di un libro o di un disco. Tutto quello che ho letto e ascoltato è andato ad influenzare quello che ho fatto; il mio è un lavoro che consiste nell’assorbire cose per poi ributtarle fuori. Il processo è questo nella produzione di un disco come nella scrittura: tu ascolti delle cose che ti son piaciute poi le trasformi a secondo del tuo gusto e le riproponi in una chiave diversa.
In che filone stilistico ti senti più a tuo agio attualmente? Cantautorato, indie, pop-rock?
Non esistono filoni musicali, secondo me quello che conta è fare soltanto della bella musica.
Hai collaborato con i Selton, hai fatto un pezzo per Marco Mengoni insieme a Paolo Nutini, sei ne “Il Paese è reale” degli Afterhours; insomma, sei uno a cui piace lavorare con altri artisti affermati. Tolti questi appena citati, ce n’è uno in particolare con cui speri di farci qualcosa in futuro?
Le persone con cui vorrei collaborare sono tutte morte, purtroppo (ride). Quindi è un sogno un po’ irrealizzabile. Però mi piacerebbe sicuramente fare delle collaborazioni con qualcuno, le farò, spero di farle. Fino ad ora le collaborazioni sono nate tutte con spontaneità, quindi se ci saranno altre occasioni, sicuramente succederà.
Antonio Caputo