Cosa resta di Fidel Castro?

Fidel Castro

Cinque anni fa moriva Fidel Castro. Leader e massimo esempio rivoluzionario per alcuni, dittatore per altri. Difficile fare un bilancio di una vita così, intrecciata ai grandi eventi degli ultimi sessant’anni, a Cuba e non solo. Difficile anche capire se per Cuba sia iniziata davvero una nuova era o si senta già la mancanza del lìder màximo.

“Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”: così scrisse Manzoni, a proposito di Napoleone Bonaparte, nella poesia intitolata “5 Maggio”. Composta sull’onda dell’emozione causata dalla morte in esilio dell’ex imperatore francese, era effettivamente troppo prossima agli eventi che lo avevano visto protagonista perché se ne potesse fare un bilancio. “La storia mia assolverà” è invece la storica affermazione fatta da Fidel Castro, in attesa di essere processato dalla dittatura di Fulgencio Batista dopo il fallito assalto alla Moncada, una caserma di Santiago. Fidel Castro è morto cinque anni fa. Ma forse è ancora il caso di ricorrere ai versi di Manzoni. Troppo presto per fare un bilancio. Ma, forse, ci si può iniziare a chiedere: dopo cinque anni, cosa resta di Fidel Castro?

Il lìder máximo. Comandante in capo. Padre della patria. Ma anche dittatore sanguinario. Antilibertario. Assassino. Difficile trovare un punto di vista equilibrato o un giudizio unanime parlando di Fidel Castro. Figura divisiva, se c’è n’è una. D’altra parte lui stesso non si è mai sottratto ai conflitti, alle scelte forti, alle prese di posizione. Leader dei paesi non allineati, ma schierato chiaramente nel campo comunista, ha rivestito ruoli di primo piano nei conflitti della seconda parte del secolo, sostenendo – e venendo sostenuto – da tanti leader politici come Lula o Arafat. Negli ultimi anni l’amicizia con il venezuelano Chavez si era concretizzata in uno scambio economico tra i due paesi: medici specializzati che andavano a lavorare in Venezuela in cambio di barili di petrolio per Cuba.

Il difficile post Fidel Castro

Se n’è andato, Fidel, abbracciato dal suo popolo. Quello che, nonostante gli alti e bassi di una rivoluzione mai finita, ha continuato a veder in lui quella figura paterna – amorevole e severa allo stesso tempo – che li avrebbe guidati verso un futuro migliore. Già da tempo aveva lasciato il potere nelle mani del fratello Raùl, più pragmatico e percepito dalla gente come più rigido di Fidel. Fidel è un politico e un letterato, dicevano; Raùl un soldato. Mai veramente accettato: difficile, d’altronde, sostituire un uomo che ha detenuto il potere per quasi 60 anni. Aveva preparato la transizione, Raùl Castro: più libertà individuale, una politica economica maggiormente aperta all’iniziativa privata. Contemporaneamente, però, l’impressione di una tenaglia pronta a stringersi con più forza in caso di dissensi.

Finita l’era dei Castro, ci si aspettava ulteriori cambiamenti nell’isola al centro dei Caraibi. Ma la politica ostile di Trump prima (che Biden non ha ritrattato) e due anni di pandemia poi, hanno duramente messo alla prova la tenuta economica e sociale dell’isola. Fino alle storiche proteste di quest’estate. Un attacco dell’imperialismo che vuole rovesciare il socialismo, per il governo cubano e i suoi sostenitori. Il popolo che, finalmente, ridotto alla fame a causa della pandemia, invoca la libertà. Ancora una volta, chi ha ragione? Certo è che le riforme e i cambiamenti promossi o programmati dal nuovo presidente Miguel Díaz-Canel, sono stati pesantemente condizionati dalla crisi pandemica. Per un’economia basata in gran parte sul turismo, la pandemia è stata un colpo durissimo. Aggiungendo le sanzioni internazionali – l’embargo contro Cuba è il più lungo e rigido della storia – è naturale che anche eventuali migliorie sociali ed economiche vadano perdute.

Le tante vite di Fidel…

Ma quante volte è morto Fidel? Numerose. Arrestato e dato per finito dopo le prime proteste. Esule. Guerrigliero. E quindi presidente, scampato – a quanto pare – a 638 attentati. Castro è morto poco a poco, quasi che volesse far abituare il popolo cubano all’idea della sua dipartita. Prima abdicando in favore del fratello, ma rimanendo presente: rare volte in pubblico, più spesso con editoriali sul Granma – il quotidiano del Partito Comunista cubano. Mentre le sue apparizioni si diradavano, la sua immagine si allontanava sempre più sia da quella del giovane guerrigliero, che da quella di leader politico e di padre della patria. Verso la fine Fidel Castro sembrava quasi più un nonno, un anziano saggio e un po’ pantofolaio, sempre in tuta, con la lunga barba bianca e le scarpe da ginnastica. Di quando in quando qualche agenzia batteva la notizia della sua presunta dipartita. I “coccodrilli” erano già da anni pronti nei cassetti dei redattori di politica estera.

Non ho alcun dubbio che il nostro popolo e la nostra rivoluzione lotteranno fino all’ultima goccia di sangue per difendere queste e altre idee che saranno necessarie per salvaguardare questo processo storico – Fidel Castro nel 2006, cedendo il potere al fratello Ràul

Lontani gli anni della sua gioventù. Stava bene il giovane Fidel. Suo padre, Don Angèl, era un emigrato gallego, sposato a una giovane canara. Si era rifatto una vita a Cuba, diventando un proprietario terriero benestante. Ma era un ragazzo anticonformista. Giocava con i figli dei braccianti haitiani e quando lo mandarono a studiare a Santiago, si dimostro più interessato allo sport che alle materie scolastiche. Nemmeno i gesuiti riuscirono a farlo diventare uno studente modello. All’università – studierà giurisprudenza – inizierà il suo apprendistato da leader rivoluzionario che lo porterà, dopo anni passati tra proteste e fallimenti e arresti – sia a Cuba che altrove – a diventare la figura di riferimento del movimento rivoluzionario che libererà Cuba dalla dittatura di Batista nel 1959.

…e i mille volti di Castro

Fidel Castro era alto un metro e 91. Statuario, lo si rivede imporre la sua figura in piedi sul campione che entra trionfante a La Havana. Lui, Ernesto Che Guevara, Camilo Cienfuegos: gli eroi della Rivoluzione. E Celia Sanchez, l’eroina rivoluzionaria, amica strettissima di Fidel. Ma il suo carisma andava ben oltre la presenza fisica. Oratore capace, affabulatore, coniatore di slogan efficaci e immortali come “O patria, o muerte”. Dava sempre l’impressione di sapere cosa dire. Amava incontrare i leader stranieri nelle prime ore del mattino, quando riteneva fossero più cedevoli durante i negoziati. Perché per lui, descritto come un lavoratore infaticabile, svegliarsi all’alba non era un problema.

Fidel infedele: matrimoni e avventure di una notte si mescolano alle battaglie e alle lotte politiche. Fidel l’uomo del popolo, che non si è arricchito con il potere: si diceva avesse una casa bella e funzionale, ma affatto lussuosa. Per altri, invece, aveva varie dimore di lusso e ricchezze accumulate all’insaputa del popolo. Quando è morto, cinque anni fa, il paese ha osservato una settimana di lutto, riservandogli celebrazioni da La Havana a Santiago. In molti hanno pianto. Qualcuno ha fatto festa. Poco dopo la sua morte, il fratello Ràul ha promulgato una legge che, per espressa volontà di Fidel che voleva evitare il culto della personalità, proibisce di chiamare strade, piazze, ponti e monumenti con il nome dell’ex presidente.

(il video integrale del funerale di Fidel Castro, in Plaza de la Revoluciòn a La Havana)

Tra realtà e mito

Difficile capire, quando si parla di Fidel Castro, dove stia il confine tra il mito e la realtà. Tra realtà e diffamazione. Ma forse questo confine, di fatto, non esiste. Come non esiste per Cuba. Diventata negli anni un vessillo per tutte le rivoluzioni. Un esempio di socialismo funzionante – almeno in parte. Innegabili i risultati raggiunti nei decenni nei campi dell’istruzione e della sanità.

Altrettanto innegabili però i lati oscuri e gli aspetti dittatoriali di un governo che si è trovato, suo malgrado, stretto tra le ingerenze statunitensi e le offerte interessate dell’Unione sovietica. Dopo il fallito golpe ordito dalla CIA con lo sbarco nella Baia dei Porci, divenne di fatto inevitabile lo schiacciamento verso il blocco comunista. Una politica che in una certa misura allontanò uno dei più stretti collaboratori e amici di Fidel, Ernesto Che Guevara. Una politica che, negli anni bui della guerra fredda, spinse Castro a politiche repressive nei confronti degli oppositori, tacciati in automatico di essere servi dell’imperialismo americano.

Qual è il bilancio del castrismo?

Certamente sarebbe stato difficile restare in sella così a lungo senza avere la maggioranza della popolazione dalla sua parte. Certamente anche motivata dalla propaganda e dalla politica culturale che investiva – e investe – tutto il paese, a partire dai piccoli comitati di quartiere. Ma, indubbiamente, anche dai risultati sociali che la Rivoluzione ha portato nell’isola.

Certo, se il metro di paragone dev’essere il PIL di un paese occidentale, le differenze balzano agli occhi. Ma sta tutto nel PIL? E, per onestà intellettuale, i competitor di Cuba dovrebbero essere i paesi caraibici che la circondano. Haiti, Portorico, la Repubblica Domenicana: lì, certamente, i tassi di povertà, malnutrizione, analfabetismo ed anche gli indicatori economici, non sono mai stati ai livelli cubani. E le libertà individuali, spesso, neppure. “Ma certo – dicono gli oppositori – tutto grazie ai soldi che arrivavano dall’Unione sovietica”.

In effetti, Cuba beneficiò molto del sistema economico sovietico e dei finanziamenti provenienti dall’URSS. Tanto che, doopo la sua disgregazione, a Cuba arrivò il “periodo especial”: anni di restrizioni e difficoltà economiche che causarono il più grande movimento migratorio – meta principale: Miami – dai tempi della Rivoluzione. Insomma: difficile, anche a guerra fredda lontana, riuscire a dare un giudizio equilibrato e imparziale sulla storia di Cuba e del suo lìder màximo.

Quando Fidel Castro chiese scusa

Errori palesi e confessi ce ne sono stati certamente. Difficilmente si può assolvere Castro da scelte politiche che sono costate sofferenze e vite umane. La politica persecutoria nei confronti di LGBT. L’opposizione violenta alle confessioni religiose. Certo è che, a partire dagli anni ’90, Fidel Castro ha aggiustato il tiro, chiedendo anche pubblicamente scusa per quelle politiche che ora rinnegava. Le cose, effettivamente, sono cambiate nei decenni successivi e, secondo alcuni osservatori, ora Cuba è uno dei paesi più tolleranti nei confronti degli omosessuali e le operazioni per cambiare sesso sono gratuite per tutta la popolazione. Anche i rapporti con la Chiesa sono cambiati, tanto che le visite papali all’isola, da allora, sono state ben due.

 (Fidel Castro e papa Francesco – il pontefice si disse “dispiaciuto” alla notizia della morte del leader cubano)




Un personaggio sicuramente divisivo, indubbiamente carismatico e capace. Un leader politico che ha portato una piccola isola dei Caraibi a recitare un ruolo politicamente rilevante nella seconda parte del XX secolo. Un uomo che amava presentarsi come schivo, ma – di fatto – spesso al centro dell’attenzione. Anche grazie alle sue amicizie celebri, la più nota tra le quali è quella che lo ha legato a Diego Armando Maradona. Una figura che ancora aleggia nel cielo cubano e nell’immaginario politico anche a cinque anni di distanza dalla sua morte.

(Maradona e Fidel, nel documentario di Emir Kusturica) 

Cuba prova a ripartire

Intanto Cuba prova a uscire dalla crisi causata dalla pandemia. Il dissenso è presente e ben poco tollerato. Agenti degli USA. Legittime proteste. Difficile trovare un punto d’incontro. Forse la fine – più volte invocata anche dall’ONU – di un embargo che pare ormai un retaggio dei un’era finita, potrebbe essere il primo passo per iniziare a ragionare con premesse diverse. Finché era in vita, gli oppositori additavano la presenza di Castro come l’ostacolo più grande a una lettura pacificatrice della storia cubana. Ma, a distanza di cinque anni, ci si rende conto che forse gli ostacoli stanno altrove.

Di certo, dicono gli inviati e gli analisti, c’è che la situazione è difficile. L’economia è ferma e, in assenza di turisti, dipende dalle rimesse degli emigrati. La pandemia ha colpito duramente l’economia, anche se dal punto di vista sanitario il paese ha cercato di reagire – sviluppando, fra l’altro, un vaccino in proprio. Ma le difficoltà, anche da quel punto di vista, restano molte. Qualcuno dice che ci vorrebbe uno come Fidel. Qualcun altro è felice che non ci sia più. Ad ogni modo il destino del paese dipenderà probabilmente dalle capacità del governo di ricostruire il consenso non solo tramite la propaganda, ma con nuove riforme di stampo socialista che ridiano linfa all’economia e al morale dei cubani.

Intanto le nuove generazioni hanno legittime richieste di libertà. Innegabili aspirazioni a una vita diversa. Le proteste di piazza della scorsa estate, scatenate dalla difficile situazione economica, ne sono una manifestazione. Quelle che erano organizzate per novembre e sono state silenziate preventivamente, sembrano dire la stessa cosa.

Un’altra storia?

La storia è cambiata, com’è cambiato il mondo e sono cambiati, radicalmente, gli stili di vita. L’arma nelle loro mani è la rete. Un’arma che però – sostengono i castristi – è uno strumento nelle mani degli USA, che diffondono fake news per realizzare un golpe morbido. La generazione che è scesa in piazza ha le sue ragioni da far valere. Un retaggio culturale diverso. La Rivoluzione l’hanno ascoltata nei racconti di genitori e nonni e il “periodo especial” lo hanno sfiorato. Ora che quel nonno un po’ severo e un po’ bonario non sorveglia più dall’alto i destini della sua grande famiglia; che non c’è più Fidel a garantire la revoluciòn – o a impedirne la fine, per gli oppositori; ora che la sua storia si perde nel mito, da un lato, e viene sviscerata dagli storici, dall’altro; i suoi bisnipoti vogliono, in qualche modo, legittimamente voltare pagina. Se il racconto sarà migliore o peggiore, lo si potrà dire solo tra un po’ di anni.

La nuova generazione è chiamata a rettificare e cambiare senza esitazioni tutto quello che deve essere rettificato e cambiato…persistere nei principi rivoluzionari è, a mio giudizio, l’eredità principale che possiamo lasciare loro – Fidel Castro nel 2011, al congresso del Partito Comunista Cubano

Per ora, a quanto pare, è presto persino per pesare l’operato di Fidel. Ai posteri l’ardua sentenza. Lui – il lìder màximo, l’amico del Che, il comandante in capo dei barbudos, il padre della patria – probabilmente se n’è andato pensando: la Storia mi assolverà.

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