Cosa possiamo fare per prevenire le violenze?

prevenire le violenze

Benedetta Lo Zito

Attivista intersezionale, autrice e fondatrice del progetto “Suns – end rape culture” il quale si concentra sull’aiutare le vittime di abusi sessuali e promuovere la consapevolezza per contrastare la cultura dello stupro.


Prevenire le violenze è un imperativo urgente, un grido lancinante che risuona nella straziante vicenda di Giulia Cecchettin. La giovane ragazza, appena 22enne, è diventata uno dei dolorosi simboli del femminicidio di quest’anno, una cronaca terribile, un eco che risuona nella coscienza collettiva, eppure è solo uno degli innumerevoli casi.


La storia di Giulia Cecchettin è un racconto del terrore, e, come tale, sembra essere uno dei femminicidi più dolorosi di quest’anno (105, una donna – o percepita come tale – ogni 72 ore).

A colpire sono probabilmente la giovane età della ragazza (22 anni), il disperato desiderio, da parte di noi tutt3, di ritrovarla viva, la sessione di laurea persa e, in generale, la vita che sarebbe potuta essere.

Se mi fermo a chiedermi le cose che ancora non ho fatto e che vorrei realizzare prima di morire, pur avendo 14 anni più di Giulia, la lista è infinita: chissà se anche lei voleva andare in Giappone, rileggere tutti i libri di Jane Austen o imparare a fare Snowboard. Chissà dove teneva gli appunti dei dischi da scaricare su Spotify. Chissà chi era, Giulia, oltre la sua morte. C’è quello che doveva esistere, e quello che non esiste più. Ci siamo arenat3 di fronte a un muro nero come il nulla, ed è difficilissimo provare a fare i passi successivi, sembra impossibile persino ricominciare a camminare.

Adesso, noi, qui, che ci facciamo con questo dolore? Adesso come continuiamo a vivere, noi che siamo rimast3, e che siamo qui soltanto per pura fortuna? Come smettiamo di avere paura? Come smettiamo di pensare che è bastato un attimo, nell’infinito sistema di possibilità, e saremmo potute essere noi a finire in un burrone? Come facciamo a non tremare dal terrore di essere l3 prossim3?

Dobbiamo uscire dal caso individuale, anche se è difficilissimo, e togliere all’assassino di Giulia Cecchettin l’attenzione che ha sempre cercato, fino ad accoltellare a morte la ragazza che diceva di amare, che aveva l’incredibile colpa di aver messo davanti a tutto se stessa. Dobbiamo, con calma e gentilezza verso la nostra anima, smettere di sentirci in colpa perché il nostro stupratore non ci ha ammazzat3, o il nostro abuser a un certo punto ha deciso di mollare la presa. Siamo sopravvissut3, adesso capiamo come onorare chi di noi non ce l’ha fatta, anche se fa male, anche se fa tremare di rabbia e di paura.

Dobbiamo, poi, come società, provare a pensare a delle soluzioni concrete. Alla lunga, educare. Educare nelle scuole, nelle case, negli spogliatoi, nelle piazze. In carcere, anche se non ci piace. Anche se fa male. E questo lavoro non possiamo più farlo da sol3; questo lavoro non dobbiamo farlo noi.

Non possiamo essere rimandat3 a casa senza protezione quando denunciamo, a non possiamo essere lasciate sol3 se non lo facciamo. Non possiamo essere noi a spiegare a padri, fidanzati, amici, fratelli, sconosciuti, che non ci possiedono; noi dobbiamo proteggerci a vicenda, noi dobbiamo restare viv3. Noi abbiamo il diritto di esistere indipendentemente da loro.

Dove sono gli uomini che si sono affrettati a dire di “non generalizzare”? Cosa fanno quando un loro amico diventa geloso, il fratello controlla il telefono della fidanzata, i compagni del calcetto girano le foto private dell3 ragazz3 con cui hanno fatto sexting? Glielo dicono che sono comportamenti sbagliati, o hanno paura di essere fatti fuori dal branco? Quante morti si potrebbero prevenire se ognuno di voi, prima di discolparsi, si chiedesse davvero se qualche responsabilità personale ci sia o meno, e cosa potrebbe fare per evitare che ci accada un nuovo femminicidio tra altre settantadue ore? Quante battute, quante pagine maschiliste che non vengono chiuse in nome della “libertà di espressione”, quanti Andrew Tate, quanti redpillati, quanti “Troia” gridati alla ragazza che non ti vuole più mentre tutti ridono, quanti Filippo Turetta ci saranno ancora prima che inizieremo a chiamare “la violenza sulle donne” con il nome del suo mandante? È violenza maschile. È violenza di stato, come ha detto Elena, la sorella di Giulia, commentando il “colpevole fino a prova contraria” di Matteo Salvini.

Di quello stato che ci vuole madri, mogli e cristiane. Magari fidanzate con questi bravi ragazzi che amano la pallavolo e noi, e ci amano così tanto da soffocarci d’amore, fino a farci smettere di respirare.

Tenetevelo il vostro amore. Tenetevi il vostro possesso, tenetevi la vostra ideologia eteropatriarcale, quella che trova i fondi per mettere gli antiabortisti nei consultori e chiude i centri antiviolenza. Le mani sporche di sangue ce le ha, soprattutto, il machismo di stato. Quello che non ci permette di entrare nelle scuole perché non si può dire a3 bambin3 che non c’è niente di male a essere queer, ma che permette ai suoi uomini di decimarci come se nulla fosse. Quello che non educa nemmeno i servizi di primo soccorso a ricevere una denuncia di violenza senza chiedere il numero delle ragazze che vanno a denunciare, quello de3 medic3 che non ti credono, e ti rimandano in una dimora non sicura.

Non vogliamo nessun maschio a proteggerci, vi vogliamo a lottare per noi contro i vostri simili, noi vogliamo solo vivere. Felici, serene, lontane anni luce dai vostri giudizi sui nostri comportamenti, dalla vostra gelosia, dalle vostre coltellate.

Come spero sia lontana Giulia, oggi, festeggiando per la sua laurea, sapendo che sarà negli occhi e nel cuore di ogni sorella che lotterà per lei. Sarà nelle vite che vivremo, anche per lei. Sarà in questa sacra rabbia, sarà ovunque. Sarà libera, finalmente, perché quella libertà non gli è stata tolta, non è possibile levarla a nessunə di noi.

A Filippo Turetta smettiamo di augurare la morte. Auguriamogli l’oblio. Che possa vivere una vita lunga capendo il male che ha fatto. Che un giorno nessuno, nemmeno chi l’ha cresciuto come “un bravo ragazzo”, parli più di lui. Per uno che non sopportava di non essere più al centro della vita dell’ex fidanzata, al punto da spezzarla, quella vita, non c’è pena peggiore.

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