Di autismo si parla spesso, ma non sempre nei termini corretti. Oggi, nella Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo, mettiamo in luce caratteristiche e difficoltà di cui sappiamo ancora troppo poco
Cos’è l’autismo? Gli autistici hanno una malattia mentale? Esiste una cura o si rimane autistici per tutta la vita? La colpa è dei vaccini, o di una cura genitoriale sbagliata?
Possono avere una vita normale? Vivono di più o di meno della popolazione generale?
Oggi, sono ancora molte le domande sull’autismo.
Ad alcune, la scienza sta lavorando.
Altre, invece, hanno già una risposta. Ma, per trovarla, è necessario essere aperti a una maggiore conoscenza e consapevolezza. Cosa che può aiutare la comunità autistica ad essere maggiormente compresa e ascoltata; ma che è utile anche a tutto il resto della popolazione per costruire una società più inclusiva e accogliente.
Cos’è l’autismo: le basi per parlarne correttamente
Per parlare correttamente di autismo bisogna, innanzitutto, conoscerne la definizione.
Secondo la Fondazione Italiana Autismo, si parla di un “disturbo del neurosviluppo“.
L’ autismo è un disturbo del neurosviluppo. Tutto lo sviluppo della persona ne è influenzato per l’intero arco della propria vita.
Il disturbo dello spettro autistico (ASD) è caratterizzato da deficit nell’interazione e nella comunicazione sociale e da comportamenti e interessi ristretti e ripetitivi
Non è, quindi, una malattia mentale. Di conseguenza, non esiste una “cura” per l’autismo. E, come evidenziato nella definizione, lo sviluppo della persona “ne è influenzato per l’intero arco della propria vita“.
Inoltre, proprio perché si parla di “spettro” autistico, è importante riconoscere che ogni persona autistica ha caratteristiche varie e differenti rispetto ad altre persone con la medesima condizione.
Il disturbo dello spettro dell’ autismo si può manifestare in modo estremamente differente e vario nelle diverse persone. All’interno di questo quadro diagnostico inoltre è possibile osservare un’ampia variabilità comportamentale che può interessare, tra gli altri, il funzionamento intellettivo e adattivo, le capacità comunicative-linguistiche, le competenze sociali e relazionali
Sempre a causa dell’ampia variabilità di caratteristiche con cui si presenta l’autismo, la scienza non può definire un’unica causa nota, ma molteplici fattori alla base. Può, comunque, smentire falsi miti maturati nel tempo.
L’autismo non ha un’unica causa nota. Le attuali ricerche mettono in evidenza che le molteplici cause della sindrome sono da ricercare nella possibile interazione tra fattori genetici, biologici e chimici esterni.
È importante sottolineare come tutti gli studi effettuati non mostrino una relazione causale tra le cure genitoriali o l’utilizzo dei vaccini e lo sviluppo della sindrome dello spettro autistico
Cos’è l’autismo: non chiamatelo epidemia
Negli ultimi anni, il numero di diagnosi di “disturbo dello spettro autistico” è aumentato sensibilmente. Oggi, nel mondo, si contano circa 100 bambini su 10mila, ovvero l’1% della popolazione. In Italia, si parla addirittura di 1 bambino su 77.
Secondo Paola Olgiati, neuropsichiatra infantile dell’Ospedale Niguarda di Milano, ci sono almeno due fattori alla base di questo aumento.
Prima di tutto, “un cambiamento dei criteri diagnostici“. Mentre, in precedenza, la sintomatologia richiesta era più ampia, ora è più ristretta e più attenta. Ciò, oltre a portare a un aumento delle diagnosi, ha permesso anche l’introduzione di screening in età precoce (fino a 16 mesi).
Inoltre, sono da considerare anche “fattori ambientali” e “fattori genetici“, i quali sono però ancora in fase di approfondimento scientifico.
Ma sono in sensibile rialzo anche le diagnosi in età adulta.
Ne ha parlato Marco Colizzi, professore aggregato di psichiatria presso il Dipartimento di Medicina dell’Università di Udine.
Il numero dei pazienti ai quali viene diagnosticata una forma di autismo in età adulta è in aumento. Queste persone, che di solito hanno tra i 20 e i 30 anni, spesso arrivano nei nostri centri con sintomi che potrebbero essere diagnosticati come comuni disturbi d’ansia o depressivi o, ancora, legati all’insonnia. Accade che la manifestazione di questi sintomi sia inusuale o eccessivamente protratta. Quando si approfondisce il caso, emerge una forma di autismo
Questa apparente “diffusione” dell’autismo ha provocato, in alcuni casi, un vero e proprio allarmismo.
Come spiega ancora il dottor Colizzi, tuttavia, non c’è alcuna “epidemia di autismo” in corso. Anzi, il motivo principale dietro tale aumento è il miglioramento del processo diagnostico. Il quale ha portato molte persone adulte a scoprire le cause di un malessere che, durante l’infanzia o in età dello sviluppo, non aveva trovato spiegazione.
Spesso i pazienti arrivano con sintomi di depressione, ansia e insonnia che si sono protratti nel tempo o che si sono presentati in maniera atipica.
È frequente che questi sintomi abbiano risposto ai farmaci in modo insoddisfacente, o che i medicinali abbiano causato effetti collaterali. Un’indagine accurata della storia della persona rivela segnali, magari trascurati, durante l’età dello sviluppo. Inoltre, le donne sono maggiormente in grado di camuffare i sintomi, col risultato di diagnosi parziali.Il percorso diagnostico è, dunque, estremamente complesso.
Ma le persone che ricevono una diagnosi di autismo in età adulta sono generalmente sollevate e grate del percorso effettuato, perché finalmente comprendono l’origine del loro malessere
“Siamo autistici al 100%”: l’inclusione parte dal linguaggio
Una delle difficoltà maggiori che le persone autistiche incontrano nella vita quotidiana, ma anche nel più delicato ambito sanitario, è proprio quella di essere riconosciute come autistiche.
Fino a circa un decennio fa, le diagnosi differenziavano l’autismo dalla Sindrome di Asperger (o autismo ad alto funzionamento).
Quest’ultima definizione, considerata l’estremità “più lieve“ dello spettro autistico, racchiudeva tutti quegli individui privi di disabilità intellettiva e senza un’apparente presenza di difficoltà. Difatti, si prendeva maggiormente in considerazione il modo in cui una persona appariva, invece che osservarne le difficoltà all’interno della vita di tutti i giorni.
Proprio per questo, si andava a costituire un errato criterio per decidere chi necessitava di assistenza e chi no.
Nel 2013, con la pubblicazione del DSM-5 (ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), l’Asperger non è più una diagnosi a sè stante, ma è parte dello spettro autistico.
Grazie a questa estensione, è stato ampliato l’accesso a cure, terapie di supporto e interventi educativi anche a persone per le quali l’apparente assenza di difficoltà era fonte di mancato accesso ai livelli minimi di assistenza in diversi ambiti.
Oggi, si parla di autismo suddiviso in tre livelli (il primo dei quali corrisponde al precedente Asperger). Tuttavia, come dimostrano alcuni studi, tale suddivisione non è sempre funzionale e rischia di essere limitante.
Alcuni ricercatori e fornitori tentano di differenziare i livelli di autismo, identificando quanto siano ampie le esigenze di supporto di un individuo. Questo sistema è limitato, in quanto gli individui potrebbero avere punti di forza e di debolezza in diverse aree piuttosto che rientrare facilmente in una categoria. Inoltre, la malattia, lo stress o il burnout possono far sì che il livello o la presentazione di qualcuno cambino di giorno in giorno o addirittura di ora in ora
In particolare, come sostengono alcuni attivisti, tra cui la giornalista Marianna Monterosso, le difficoltà per gli autistici di livello 1 sono ancora presenti come lo erano un tempo per gli individui con Sindrome di Asperger.
Quando si parla di Livelli di autismo non si intende livelli di gravità ma di supporto alla persona autistica. Non esiste l’autismo “lieve” o “grave”, tutte le persone autistiche sono autistiche al 100%, al di là delle co-occorrenze associate. Per le persone autistiche che hanno il Livello 1 di supporto, la Legge 104/92 non prevede alcuna tutela e assistenza dopo i 18 anni.
Spesso le nostre caratteristiche sono debilitanti, ed essendo invisibili a prima vista, non vengono socialmente e legalmente riconosciute come invalidanti.
Di conseguenza noi persone autistiche non siamo tutelate come qualsiasi altra persona disabile
Per rispondere a questa necessità, Monterosso – insieme agli esperti e attivisti Eleonora Marocchini (PhD, Psicolinguista); Giusy Mercurio (Avvocata); Red Fryk Hey (Ballerina e Attivista); Giulia Gazzo Lunny (Attivista); Giangiacomo Tedeschi (Ingegnere informatico) – sta portando avanti un Progetto di Legge che provveda a tutelare tutte le persone autistiche.
Il Progetto, appoggiato dal vicepresidente nazionale del Codacons, avvocato Francesco Di Lieto, sta attualmente proseguendo l’iter legislativo.
L’autismo e il diritto a una vita lunga e soddisfacente
Uno dei temi su cui, attualmente, gli esperti si stanno interrogando, è l’aspettativa di vita di una persona autistica.
Sebbene i dati siano limitati, diversi studi hanno dimostrato che le persone con autismo possono avere una ridotta aspettativa di vita rispetto alla popolazione generale.
Uno studio in particolare ha osservato che, nel 2022, l’aspettativa di vita media globale era di circa 72 anni. Per le persone autistiche, invece, l’aspettativa di vita media variava da 39,5 a 58 anni.
Alcuni dei fattori di stress psicologico che le persone autistiche sperimentano sono il risultato dell’esistenza in un mondo che non è stato progettato per soddisfare i loro bisogni.
La società è impostata con varie aspettative comportamentali che sono impegnative, scomode o addirittura impossibili per alcune persone autistiche. Come il contatto visivo, lo stare fermi agli appuntamenti e alle riunioni, e l’uso della comunicazione non verbale nelle conversazioni.
Questo stress cronico contribuisce alle differenze nell’aspettativa di vita.
I fattori che contribuiscono alle differenze nell’aspettativa di vita sono, innanzitutto, le condizioni genetiche e mediche in comorbidità.
Rispetto alle persone non autistiche, infatti gli autistici hanno maggiori probabilità di riscontrare disturbi neurologici (come epilessia, malattie cardiovascolari, idrocefalo), disturbi del sonno e disturbi gastrointestinali. Inoltre, sono più propensi a sviluppare problemi di salute mentale (ansia, depressione, disturbi psicotici e disturbi da trauma).
Di conseguenza, le persone autistiche sono a più alto rischio di suicidio rispetto alle persone non autistiche. In particolare, secondo uno studio del gruppo del Karolinska Institutet di Stoccolma del 2019, gli autistici hanno un rischio suicidario da 2,4 (con disabilità intellettiva) a 9,4 (senza disabilità intellettiva) volte superiore rispetto alla popolazione generale.
Modificare questi numeri, però, è possibile.
Molti autistici conducono una vita lunga e soddisfacente, soprattutto se beneficiano di un tempestivo intervento terapeutico e di un ambiente di supporto adeguato. Pertanto, garantire un accesso equo ai trattamenti e agli interventi di supporto è di cruciale importanza per migliorare la qualità della vita delle persone autistiche e per favorirne la longevità.
E nulla di tutto questo è possibile senza il confronto, l’ascolto e la consapevolezza.