Nella Venezia del XVI secolo, una cortigiana si prende le libertà a cui una signora non può aspirare, e conduce una vita di passione, desiderio, cultura. Da Padrona del suo destino.
Solitamente non guardo film che siano usciti prima del 2001. Sì, forse mi perdo molti classici. Credo che le uniche eccezioni finora siano state Titanic, Ghost e Schinder’s List. Pochi giorni fa però mi è capitato di vedere un film del 1998, Padrona del suo destino, che parla di una cortigiana veneziana.
Benedetto sia Netflix che fa scoprire delle perle.
La storia, in breve, è ambientata nella Repubblica di Venezia del XVI secolo, dove alle donne sono date due opzioni: sposarsi o diventare cortigiane. Veronica Franco, donna priva di titoli nobiliari, non può ambire a sposare l’uomo di cui è innamorata, Marco Venier, proprio per la sua provenienza altolocata che gli prescrivono di trovare una moglie altrettanto nobile. Veronica non si arrende e tenta di convincere il suo amato a ignorare i doveri che lo costringeranno a sposare una donna fredda e di nessun interesse ma lui, prigioniero della rete sociale in cui si trova, e forse anche della propria viltà, non cambia idea e i legami fra loro si interrompono.
Vedendo sfumata la possibilità del matrimonio, l’unica occasione per una donna della società veneziana di condurre una vita “onorevole”, Veronica è convinta dalla madre a intraprendere la strada della cortigiana, unico modo rimasto per garantirsi l’autonomia economica e anche una certa dose di libertà che le donne sposate non hanno. Veronica infatti può scrivere poesie e leggerle di fronte ai più grandi funzionari di Venezia, esprimere liberamente il proprio pensiero, parlare di politica, e soprattutto, avere il privilegio di seguire il piacere e il desiderio.
In un mondo in cui ci si aspetta dalle donne che siano ottime madri e mogli, e che non abbiano proprie aspirazioni e pulsioni anche carnali, Veronica è estremamente onesta nel volere ciò che vuole e nel prenderselo senza vergogna o sensi di colpa. Molti la chiamano prostituta, perché nei fatti è ciò che fa: porta nel suo letto i più grandi uomini di Venezia dietro pagamento, uomini sposati che la cercano per uno spiraglio di benessere, per l’illusione di essere amati. Ma lei non abbassa la testa a queste offese, anzi è orgogliosa di essere una cortigiana, di dare a questi uomini l’affetto e la dedizione che nei loro matrimoni siglati a contratto non esistono, di dare loro piacere e di prendersi il proprio, come una buona signora non farebbe per modestia. Veronica non è modesta, e non è santa. Però è intelligente, di un’intelligenza sferzante e tagliente, qualità che non avrebbe potuto coltivare in seno alla famiglia, sempre per la necessità di mostrarsi pia e remissiva. Grazie a queste qualità così rare nelle donne dell’epoca, gli uomini di Venezia sono affascinati da lei, perché non vedono solo la cortigiana, ma la donna con le sue fragilità, la sua onestà intellettuale ed emotiva, la sua intelligenza, la sua passione. Quando il tribunale dell’Inquisizione cercherà di condannarla per stregoneria, ella ammetterà senza apparente pudore che trova più estasi nel piacere che nella preghiera, ma anche che è una cortigiana perché proprio le regole della società che la condannano, le hanno impedito di sposare l’uomo che tutt’ora ama. Quelle stesse leggi l’hanno condannata a scegliere la professione di cortigiana, perché non vi erano altri lavori con i quali una donna fosse rispettata e potesse sostentarsi. Questa creatura che la Chiesa e tutte le donne rispettabili di Venezia odiano, in realtà non è altro che un loro prodotto, uno scarto prodotto da regole troppo ferree e maglie troppo strette in cui si rimane prigionieri.
Oggi molto è cambiato. Innanzitutto non esiste più la professione della cortigiana, che oltre a conoscere i segreti della passione, era soprattutto donna acculturata, libera di esprimersi a un livello quasi paritario con gli uomini. Oggi le donne possono studiare e avere una professione, hanno autonomia nella gestione della propria vita. Ma davvero è cambiato il nocciolo della situazione? Davvero possiamo dire di essere padrone del nostro destino? Di essere libere più di una cortigiana veneziana e altrettanto rispettate? Non ne sono sicura. Sulle donne pesa ancora, per quanto impercettibile, il dogma della dolcezza, della remissività, della necessità di avere una famiglia convenzionale, di avere pochi partner sessuali nel corso della vita. D’altra parte, una donna di cultura nella nostra società non è percepita come affascinante, bella o desiderabile. Si può essere belle, e volgari, e svestite, magari donne di una notte e via. Oppure si può essere intelligenti, acculturate, avere un buon lavoro e garantire una famiglia. Noi donne moderne dobbiamo ancora scegliere. Non abbiamo ancora la libertà di essere tutto, di dispiegare completamente la nostra femminilità ed essere padrone del nostro destino.