Cortesia e rispetto giapponese: la cultura dell’armonia collettiva

La popolazione nipponica è nota internazionalmente per molti elementi culturali caratteristici e in qualche modo estranei alla realtà occidentale. L’aspetto forse più noto e identificativo è la cortesia che questo popolo manifesta sia nella sfera privata che in quella collettiva. Le modalità di interazione – linguistica, gestuale e comportamentale –   di questo popolo dimostrano l’estrema devozione verso la collettività che sta alla base dell’identità nazionale e individuale. Cortesia e rispetto giapponese sono globalmente riconosciuti come uno tra i molti simboli del paese.

Influenza della religione sulla società.

L’isola del Giappone è rimasta isolata fino a qualche secolo fa. Prima dell’arrivo degli europei, il Sol Levante aveva intrattenuto rapporti di scambio commerciale e culturale solo con i paesi limitrofi. Per questo manteneva una cultura autoctona a sé stante notevolmente diversa da quella dei paesi occidentali e degli altri paesi asiatici. La maggior parte delle tradizioni che costituiscono ancora oggi l’unicità di cui questo paese va fiero, sono oggi intrinseche all’educazione morale e alla tradizione giapponese. Vista la natura profondamente radicata di questo aspetto culturale, l’origine del culto di cortesia e rispetto giapponese è da supporsi  lontana nel tempo.

Già prima del VI secolo, la religione più diffusa in Giappone era lo shintoismo, un culto animistico fondato sul rispetto degli elementi naturali e degli esseri viventi. Quando nel secolo sopracitato giunse dalla Cina – assieme al sistema di scrittura ideogrammatico – la religione Confuciana, questa si sposò perfettamente con la religione preesistente. Infatti il Confucianesimo è una tradizione filosofico-religiosa improntata alla devozione verso l’altro. Alla base di essa vi è il rispetto che il singolo deve alla collettività, e al proprio gruppo di appartenenza (familiare o lavorativo) ancor prima che a se stesso. Appaiono quindi evidenti i motivi del perfetto sincretismo andatosi a creare tra la religione autoctona e quella di origine cinese.

Si delinea più chiaramente il contesto in cui si è sviluppata una cultura basata sul rispetto dell’altro e sulla dedizione al bene comune. L’impronta religiosa è determinante a livello sociale: non a caso la reggenza del Giappone è nelle mani dell’imperatore, simbolo incarnato del potere divino. Anche se la sua figura è andata deteriorandosi col tempo (in particolare in seguito alla completa apertura del paese all’occidente), resta tutt’oggi simbolo socio-religioso dell’identità nipponica.

Armonia sociale e interazione con l’altro.

 Lo stretto rapporto esistente tra società e religione ha fatto sì che col tempo molte credenze relegate alla dimensione spirituale sedimentassero nella sfera del quotidiano. Il rispetto dell’opinione altrui e l’elusione del conflitto sono caratteristiche necessarie all’integrazione in società e al confronto con l’altro. La tendenza a conformarsi al volere delle autorità, ad essere parte integrante di un gruppo e a porsi in maniera umile nei confronti del prossimo: elementi culturali che costituiscono i pilastri portanti del sottile reticolato gerarchico alla base della cortesia giapponese.

Questa gerarchia si basa sul riconoscimento della posizione sociale dell’altro rispetto alla propria, sulla base di molti fattori come ad esempio età, sesso e posizione lavorativa più o meno avanzata. La collocazione di un individuo all’interno di una “categoria” specifica, determinerà il tipo di interazione e il livello di cortesia da adottare. Nonostante che agli occhi di un estraneo alla cultura giapponese possa sembrare macchinoso, questo modo di comunicare si dimostra efficiente e naturale. Improntato al riconoscimento dell’altro e alla dimostrazione di cortesia, è tramandato di generazione in generazione sin dalla più tenera età allo scopo di preservare l’armonia collettiva in modo spontaneo.

I diversi tipi di linguaggio.

Come già detto, in Giappone la realtà quotidiana è impregnato di una sorta di ritualità che regola le interazioni con l’altro. La struttura stessa della lingua è testimone di come la gentilezza sia di primaria importanza.

Alla base del giapponese vi sono due concetti di fondamentale importanza che costituiscono i due poli dell’interazione: Uchi (“interno”) e Soto (Esterno). Uchi sarebbe l’io parlante e il gruppo di cui fa parte (ad esempio la famiglia o gli amici stretti) e Soto l’altro, inteso anche come un contesto non familiare e quindi formale. In base a questa suddivisione, si originano diversi tipi di linguaggio che cambiano a seconda delle posizioni occupate dal parlante e dal suo interlocutore.

Le atmosfere che si creano attraverso l’adozione di un linguaggio piuttosto che un altro differiscono in maniera abissale. Porvi attenzione è di fondamentale importanza per stabilire una comunicazione effettiva e piacevole, all’insegna di cortesia e rispetto giapponese.

Altro aspetto interessante a livello linguistico, è il modo di formulare le richieste e rifiutarle: il rifiuto netto, non essendo gentile, non è contemplato. Per questo motivo, la domanda non è posta in modo diretto. In questo modo l’interlocutore, nel caso in cui voglia rifiutare, avrà ampio spazio per poter declinare con un ampio giro di parole.

Spazio personale

Altra icona della cultura gentile giapponese è l’inchino rituale: un saluto che apre e chiude incontri, ma anche un gesto atto a dimostrare gratitudine. Più profondo è l’inchino, maggiore è il rispetto che si dimostra nei confronti della persona a cui lo si sta rivolgendo. Questo saluto implica una certa distanza. Il contatto fisico è una libertà che ci si può prendere con la propria cerchia ristretta di conoscenze, altrimenti viene visto come sfrontatezza o invasione dello spazio personale.

Oltre a questo modo gestuale di rispettare lo spazio altrui, non è meno importante la maniera riservata di esporsi alle conversazioni. La tendenza di norma con gli estranei è di manifestare il proprio pensiero personale mai in maniera diretta – oppure astenersi del tutto dal farlo. L’io si annulla e si adatta all’altro per ridurre al minimo la possibilità di conflitto. È solo in contesti informali e familiari che si espone la propria opinione in maniera diretta, perché si è a proprio agio e soprattutto non c’è il rischio di mancare di rispetto all’altro manifestando dissenso.

 

Ginevra Patacchini

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