Vincitori e perdenti. “Buoni e cattivi”, come vengono spesso identificati nell’immaginario collettivo. Eppure, come scuola insegna, “La storia la scrive chi vince”, ed ecco che spesso arrivano dagli occhi dei “primi” anche giudizi morali, concezioni e opinioni arrivate sino ai giorni nostri, versioni non sempre corrispondenti alla realtà…soprattutto quando si parla delle epoche più antiche. Basti pensare all’esaltazione di grandi condottieri, politici, sovrani…Ci sono casi, invece, dove neanche il marchio della vittoria e gli elogi giunti ai posteri dagli scritti dei contemporanei riescono a scalfire la sensazione che l’etichetta del successo sia dalle parte sbagliata. E che una grande vittoria sia in realtà una cocente sconfitta per la storia dell’umanità. Basti pensare a Hernàn Cortés e al crollo dell’impero degli aztechi.
La spedizione
Dopo la scoperta del nuovo continente da parte di Cristoforo Colombo si moltiplicarono le spedizioni a caccia di risorse e nuove terre verso l’odierna America. Tra i paesi più coinvolti come noto vi fu la Spagna, che dopo essere sbarcata nello Yucatan, in Messico, ed essere venuti a conoscenza dell’impero azteco, decise di ordinare nuove esplorazioni. Fu il governatore di Cuba Diego Velàzquez de Cuèllar ad ordinare ad Hernàn Cortés, condottiero spagnolo di nobili origini, di partire il 18 Febbraio 1519 con 11 navi e oltre 600 persone tra marinai e soldati, muniti di arme da fuoco verso il Messico. Un’altro successo nel mirino della Spagna conquistatrice
Crudeltà, abilità e fortuna
A rendere possibile il successo contro il temibile e antico impero fu inizialmente l’abilità di Cortés nel riuscire a capire e ad approfittare del poco solido legame tra gli aztechi e le popolazioni indigene. Strinse grazie a degli interpreti alleanza con gli oppositori dell’impero, in particolare i Totonachi, che lo accolsero amichevolmente al suo arrivo e con loro marciò verso la capitale Tenochtitlán. Neanche l’accoglienza amichevole dell’imperatore Moctezuma II riuscì a far desistere il condottiero spagnolo, che nel frattempo per paura di un ripensamento ordinò una strage delle popolazioni indigene.
Arrivato nella capitale, segregò l’imperatore nel suo palazzo, cercando di portare l’impero a convertirsi al cattolicesimo. Una truppa spagnola pronta ad attaccarlo e a prendere il comando della spedizione lo costringono ad abbandonare la città. In sua assenza scoppia il caos: il suo luogotenente sterminò tutta la nobiltà azteca nella Mattanza del Templo Mayor. L’imperatore Moctezuma morì durante una sommossa, e gli spagnoli furono costretti ad abbandonare la città dopo lotte e sommosse che decimarono l’esercito spagnolo.
Cortès non si perse d’animo e dopo un lungo assedio, nell’Agosto del 1521 riconquistò la città, questa volta distruggendola e consegnandola alle fiamme. Distrussero e saccheggiarono templi e palazzi. La popolazione venne ridotta in schiavitù e decimata, ora dalle armi, ora dalle malattie importate dall’Europa come vaiolo e scarlattina. L’ultimo sovrano azteco Cuauhtémoc venne giustiziato, e Tenochtitlán ribattezzata Città del Messico, capitale della Nuova Spagna. Un evento che cambierà la storia dell’umanità e la popolazione e cultura di quei territori per sempre.
Vittoria?
Una vittoria per la Spagna, una impresa per Cortés. Per l’umanità? Una sconfitta. Secoli di cultura, un popolo intero, gli aztechi, sterminato, usi e costumi dilaniati e cancellati in nome del potere. Ecco il paradosso di Cortés e della Spagna conquistatrice. Vincenti sui libri, sconfitti ai posteri.
Beatrice Canzedda