Milano – Esterno giorno: Corteo antirazzista.
Per tanti, non più giovani, è stato il primo corteo in piazza.
C’è chi, specie tra gli emigranti del sud Italia, ha vissuto il razzismo sulla propria pelle; chi ha sposato una donna africana e chi è sceso in piazza al grido di “Respect”.
È l’eterogeneità a farla da padrona, durante la manifestazione People, il corteo antirazzista che ha riempito Piazza del Duomo a Milano, lo scorso sabato 2 marzo.
Una marea umana di più di 200 mila volti, espressioni, respiri e rabbia che ha voluto nuovamente affermare un concetto tanto spontaneo quanto semplice; No al razzismo e alle discriminazioni.
Nella successione revisionistica che cronologicamente si ripete sempre uguale, sarebbe banale continuare a combattere delle battaglie che l’evoluzione umana avrebbe dovuto cancellare definitivamente.
Eppure la storia si ripete con i medesimi errori, celebrando la mediocrità delle “legioni” di cui parlava Umberto Eco, quali paladini di una giustizia identitaria rinnovata, almeno nella velocità dei mezzi di comunicazione.
Da Via Palestro a Piazza Duomo, passando per San Babila, il corteo non ha avuto colore, nè età; sembrava parlare un solo linguaggio di fratellanza e solidarietà e, in mezzo a questo fiume, s’intravedevano molti volti noti, confusi nell’entusiasmo di una possibile rivoluzione.
C’era Gad Lerner che intravede nel corteo, non solo un pezzo della società milanese ma una melting pot di culture differenti.
Tra la folla, è stato possibile scorgere l’ex sindaco Giuliano Pisapia e Laura Boldrini, come “semplici cittadini” in mezzo ai tanti che non si sentono rappresentati dalle attuali forze politiche di governo.
E poi c’erano le scuole, i giovani precari, i sindacati, l’ANPI e le associazioni di solidarietà: “Un’iniezione di vitalità” come l‘ha definita Nando dalla Chiesa, proseguita all’insegna di canti, balli, suoni e colori, che segnano l’unione e la comunicazione fra culture differenti.
Roma – esterno giorno: Africani in piazza
Nello stesso giorno del corteo antirazzista di People, a Roma si è svolta la manifestazione contro il franco Cfa. A scendere in piazza alcune centinaia di uomini e donne africane, molti provenienti dalle ex colonie francesi, hanno sfilato da piazza dell’Esquilino fino a piazza della Madonna di Loreto, passando per via Cavour e via dei Fori Imperiali, gridando uno slogan sensibilmente diverso: Prima la dignità!
Questo perché, se fa orrore sapere di azioni discriminatorie perpetrate alla luce del sole ai danni di extracomunitari, disabili o omosessuali, nell’indifferenza della gente, è altrettanto assurdo che nel 2019 si parli ancora di colonialismo.
L’imperialismo economico al quale i paesi francofoni sono stati assoggettati, tramite il franco Cfa è una delle prime forme di schiavitù moderna presenti in Africa.
Una moneta imposta e controllata da una nazione che ha sfruttato, al pari delle altre potenze europee, il continente nero, le sue risorse e la sua indipendenza economica, impedendone lo sviluppo e costringendo milioni di persone a scegliere la via drammatica del mare, passando per il deserto e i lager di quell’inferno sulla terra, chiamato Libia.
“Liberare l’Africa dal franco Cfa, moneta coloniale e pubblicare gli accordi di decolonizzazione per ricostruire il sistema predatorio che impoverisce tutto il Continente, anche attraverso una commissione d’inchiesta al Parlamento Ue”.
Questo è ciò che diverse organizzazioni panafricaniste e molti attivisti, come Mohamed Konare. Di origine ivoriana ma da anni residente in Italia, Konare ha sottolineato come “L’Africa riparte da Roma” e questo potrebbe essere una possibile soluzione anche al dramma delle morti nel mediterraneo.
Peccato che questo tipo di corteo antirazzista non abbia avuto la giusta copertura mediatica, né tanto meno la stessa rilevanza da parte dei molti, tra esponenti politici, intellettuali e artisti i quali, sembra, non hanno dato il loro contributo alla causa africana.
Nessun esponente della sinistra democratica, ma neanche della corrente populista ha avuto l’interesse a conoscere il lato segreto della lotta alla discriminazione, né a individuare una possibile soluzione logica.
La pretestuosa supponenza storica europea torna prepotentemente alla ribalta, con il suo concentrato di etica delle masse e imposizione di tabù di ordine morale, risparmiandosi la “fatica” di guardare oltre il proprio naso e i libri di storia (che di colonialismo parlano tanto), rifiutandosi, con ogni mezzo, di turbare l’animo “sensibile” del colonialismo 4.0, che si serve ormai della retorica “per non dimenticare” e dimenticando puntualmente quanto esso sia parte del problema.
Forse in questa logica, prima degli umani e degli italiani, sarebbe ora di pensare alla tutela della dignità.
Fausto Bisantis