Corte penale internazionale: no alle indagini sui crimini in Afghanistan

Corte penale internazionale

La Corte penale internazionale ha deciso di non autorizzare l’indagine sui possibili crimini di guerra commessi in Afghanistan nel corso del conflitto iniziato nel 2001 (e ancora in corso) da parte delle forze del governo afghano, dei Talebani, dei militari statunitensi e della CIA.

Struttura

La Corte penale internazionale è un tribunale con sede all’Aia istituito e regolato dallo Statuto di Roma – stipulato nel 1998 ed entrato in vigore nel 2002 – la cui competenza è circoscritta ai crimini internazionali più gravi quali il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e il crimine di aggressione.

Lo Statuto – ratificato da 123 Stati – stabilisce che i crimini commessi da un cittadino di uno Stato Parte o sul territorio di uno Stato Parte (anche se commessi da cittadini di Paesi che non riconoscono il tribunale) sono perseguibili dalla Corte.

Questa è composta da:

18 giudici eletti dall’Assemblea degli Stati Parte (gli Stati che hanno ratificato lo Statuto) che a loro volta eleggono il presidente e i due vicepresidenti. I giudici sono distribuiti in divisione preliminare, divisione giudicante e divisione d’appello;

Ufficio del Procuratore – organo indipendente composto da procuratore capo, procuratori e uffici investigativi – che conduce le indagini e sostiene l’accusa. L’indagine può partire per iniziativa autonoma dell’Ufficio, su segnalazione di uno Stato Parte (o anche dei cittadini) oppure su indicazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU ed è soggetta al vaglio della divisione preliminare prima di poter essere autorizzata.

Cancelleria, responsabile amministrativa della Corte.

Crimini in Afghanistan

Nel novembre del 2017 la procuratrice capo Fatou Bensouda aveva inoltrato alla Corte una richiesta di autorizzazione a procedere per investigare i crimini commessi in Afghanistan (Stato che riconosce il tribunale).

La richiesta si incentrava sui crimini commessi dai Talebani e dalle forze armate afghane contro i civili così come sui crimini commessi dai militari Usa e dalla CIA. A proposito del coinvolgimento statunitense Bensouda riteneva ci fossero elementi rilevanti per sostenere che “dal 2003 membri delle forze Usa e della CIA hanno commesso crimini di guerra quali tortura e trattamento crudele, offesa della dignità personale, stupro e altre forme di violenza sessuale come conseguenza di una politica approvata dalle autorità statunitensi.”

Un altro tassello dell’indagine che stava istituendo la procuratrice si focalizzava sui possibili crimini commessi nelle prigioni segrete della CIA – i cosiddetti black sites – in Polonia, Romania e Lituania oltre che in Afghanistan.

Tutti e quattro questi Stati sono soggetti alla giurisdizione della Corte, a differenza degli Stati Uniti che avevano firmato lo Statuto di Roma ma non lo hanno mai ratificato e che quindi non ne riconoscono la legittimità sovranazionale.




Reazione Usa

Il possibile coinvolgimento di propri cittadini nelle indagini aveva spinto gli Stati Uniti a opporsi fermamente a qualunque iniziativa dell’Ufficio della procuratrice.

Durante un incontro a Washington nell’ottobre del 2018, John BoltonConsigliere per la sicurezza nazionale Usa – aveva apertamente minacciato la Corte:

Vieteremo ai suoi giudici e ai suoi procuratori di entrare negli Stati Uniti. Imporremo sanzioni economiche ai loro fondi nel sistema finanziario statunitense e li perseguiremo nel nostro sistema penale. Faremo lo stesso con qualunque azienda o Stato che assecondi un’indagine della Corte su cittadini statunitensi.”

Come ad esempio l’Afghanistan.

Più recentemente, a marzo di quest’anno, il Segretario di Stato Mike Pompeo aveva nuovamente avvertito che chiunque avesse preso parte all’indagine della Corte penale internazionale “non può pensare di mantenere o di ottenere il visto, o che gli sia permesso di entrare negli Stati Uniti.” “Queste restrizioni – aveva aggiunto – non saranno l’unico provvedimento. Siamo pronti a compiere altri passi, sanzioni economiche incluse, se la Corte non cambia il suo indirizzo.”

Fedeli a questa linea, dieci giorni fa gli Stati Uniti avevano revocato il visto alla procuratrice capo Bensouda.

Autorizzazione negata

In questo clima, il 12 aprile la Seconda Camera della divisione preliminare della Corte ha emesso un comunicato in cui afferma che“la richiesta della procuratrice costituisce una base ragionevole per considerare che crimini soggetti alla giurisdizione della Corte siano stati commessi in Afghanistan” ma che, anche considerata “la mancanza di cooperazione delle parti in causa […] un’indagine della situazione in Afghanistan a questo punto non servirebbe gli interessi della giustizia“. Per questo, la Camera “ha rigettato la richiesta di autorizzazione a procedere.”

Katherine Gallagher, avvocatessa del Center for Constitutional Rights di New York, ha dichiarato che la Corte, con questa decisione, “manda un messaggio pericoloso: che la prepotenza vince e che i potenti non saranno chiamati a risponderne“.

Di segno opposto, invece, la reazione di Trump:

“Questa è una grande vittoria internazionale, non solo per questi patrioti, ma per lo Stato di diritto. Accogliamo questa decisione e ribadiamo la nostra posizione: gli Stati Uniti impongono ai cittadini americani i più alti standard legali ed etici […]. A qualunque tentativo di coinvolgere il personale americano, israeliano o alleato in un’azione penale – avverteseguirà una rapida e vigorosa risposta.”

Siamo una società democratica. Ci assumiamo la responsabilità delle nostre azioni e lo stesso facciamo per quelle dei nostri cittadini ” ha esultato Bolton dopo la decisione della Corte penale internazionale. “Oggi è il mio secondo giorno più felice al governo.”

Alessandro Rettori

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