Corsa al vaccino anti COVID-19: come distribuirli equamente tra i Paesi? Una domanda che solleva problemi complessi, che coinvolgono l’opinione pubblica, la diplomazia, l’economia e la salute pubblica. Infatti, una volta sviluppati, i vaccini efficaci contro il COVID-19 saranno scarsi. I Paesi ricchi, che rappresentano solo il 13% della popolazione mondiale, si sono già assicurati il 51% delle dosi promesse dei principali vaccini. Cosa ne sarà del restante 87% delle persone?
Il 51% delle dosi promesse è riservato al 13% della popolazione mondiale
Un piccolo gruppo di nazioni ricche ha acquistato più della metà della futura fornitura dei principali potenziali vaccini anti COVID-19. In altre parole, le nazioni ricche – che rappresentano solo il 13% della popolazione mondiale – hanno già prenotato il 51% delle dosi promesse, ha avvertito Oxfam.
Al primo posto troviamo il governo del Regno Unito, che è riuscito a firmare accordi i quali garantirebbero cinque dosi pro capite. In seconda posizione gli Stati Uniti, che già dalla metà del mese di agosto si sono assicurati 800 milioni di dosi di almeno sei vaccini in via di sperimentazione oltre a un’ulteriore opzione per l’acquisto di un altro miliardo di dosi; infine, l’Unione Europea e il Giappone, che hanno prenotato centinaia di milioni di dosi di vaccini.
Il Bangladesh, invece, si è assicurato solo una dose per ogni nove persone.
Corsa al vaccino anti COVID-19: non ci saranno mai vaccini per tutti
Secondo Oxfam, le stesse aziende farmaceutiche non hanno la capacità di produrre vaccini sufficienti per tutti. Anche nel caso (inverosimile) che tutti e cinque i vaccini abbiano successo, quasi due terzi (61%) della popolazione mondiale non avrà un vaccino almeno fino al 2022. Ma è molto più probabile che alcuni di questi esperimenti falliscano, e il numero di persone prive di vaccino aumenterà.
Per esempio, uno dei potenziali vaccini, sviluppato da Moderna, ha già fruttato 2.48 miliardi di dollari. E l’azienda ha proprio dichiarato che intende trarre profitto dal suo vaccino, perciò ha venduto tutta la sua fornitura alle nazioni ricche a prezzi che vanno da $ 12-16 per dose negli Stati Uniti a circa $ 35 per dose per altri paesi. Tuttavia, secondo i rapporti, la società ha solo la capacità di produrre abbastanza per 475 milioni di persone, ovvero il 6% della popolazione mondiale.
Per questo, Oxfam e altre organizzazioni in tutto il mondo chiedono un vaccino “popolare”, disponibile a tutti, gratuito e distribuito equamente in base alle necessità. Ciò sarà possibile solo se le società farmaceutiche consentiranno la produzione di vaccini il più ampiamente possibile condividendo liberamente le loro conoscenze senza brevetti, invece di proteggere i loro monopoli e vendere al miglior offerente.
Chema Vera, direttore esecutivo di Oxfam International, ha dichiarato:
I governi prolungheranno questa crisi se consentiranno alle aziende farmaceutiche di proteggere i loro monopoli e profitti. Nessuna singola società sarà mai in grado di soddisfare il bisogno mondiale di un vaccino COVID-19. Abbiamo bisogno di un vaccino popolare, non di un vaccino a scopo di lucro.
Un sistema fallato e fallito
Un sistema fallato e fallito, che protegge i monopoli e i profitti delle società farmaceutiche e favorisce le nazioni ricche, limitando artificialmente la produzione e lasciando la maggior parte della popolazione mondiale ad aspettare, e a sperare.
Winnie Byanyima, Direttore Esecutivo di UNAIDS e Sottosegretario Generale, ha dichiarato:
Noi del movimento per l’AIDS abbiamo visto in passato come le aziende usano i monopoli per limitare artificialmente le forniture di medicinali salvavita e gonfiare i loro prezzi. L’UNAIDS e altri membri della People’s Vaccine Alliance chiedono un nuovo approccio che metta al primo posto la salute pubblica condividendo le conoscenze e massimizzando l’offerta. Qualunque cosa al di sotto di questo porterà a più morti e al caos economico, costringendo milioni di persone alla miseria.
Le ricadute sanitarie saranno molto diverse a seconda di quali Paesi o quali categorie di persone avranno priorità nell’accesso alla vaccinazione.
Corsa al vaccino anti COVID-19: una soluzione alternativa
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha creato un consorzio insieme all’Alleanza globale per i vaccini (Gavi) e alla Coalizione per l’innovazione nella capacità di risposta epidemica (Cepi) per distribuire due miliardi di dosi di vaccino entro il 2021. E intende distribuire i vaccini ai Paesi in proporzione alla loro popolazione, privilegiando gli operatori sanitari, la popolazione ultra-sessantacinquenne e le persone con altre patologie a rischio.
Secondo le simulazioni del team, la strategia cooperativa avrebbe evitato il 61% dei decessi, mentre quella non cooperativa avrebbe risparmiato solo il 33% delle morti a livello globale fino al 1° settembre 2020; rispettivamente, qualora il vaccino fosse efficace all’80%.
Ma anche questo potrebbe non essere il modo più equo ed efficace: gli operatori sanitari sarebbero più protetti del resto della popolazione, e il criterio dell’età finirebbe per privilegiare, ancora una volta, gli stati più ricchi e mediamente più anziani.
A tal proposito, 19 esperti internazionali di sanità pubblica – in un recente articolo sulla rivista Science – hanno proposto un criterio alternativo: il Fair priority model.
Corsa al vaccino anti COVID-19: il Fair Priority Model
Distribuire equamente un vaccino COVID-19 tra i Paesi è un problema di giustizia distributiva. Sebbene i governi saranno i primi destinatari del vaccino, l’equa distribuzione tra i paesi deve tenere conto dei destinatari finali: gli individui. Un’allocazione equa deve cercare di mitigare i futuri effetti negativi del COVID-19.
I paesi in condizioni peggiori sono quelli che vivono la maggiore povertà? Quelli in cui le persone hanno le aspettative di vita più basse?
Come si legge nell’articolo, Il Fair Priority Model è un quadro etico comune, che si rivolge principalmente a tre gruppi. Una è la struttura COVAX, che intende acquistare vaccini per un’equa distribuzione nei Paesi. Un secondo gruppo è costituito dai produttori di vaccini. L’ultimo gruppo è costituito dai governi nazionali, alcuni dei quali si sono anche impegnati pubblicamente a un’equa distribuzione.
Tre valori sono particolarmente rilevanti: beneficiare le persone e limitare i danni, dare priorità agli svantaggiati e uguale preoccupazione morale. Quest’ultima richiede di trattare allo stesso modo individui simili e di non discriminare sulla base di differenze moralmente irrilevanti, come il sesso, la razza e la religione. In questa prospettiva, distribuire quantità diverse di vaccino in paesi diversi non è discriminatorio se apporta vantaggi alle persone dando la priorità a chi è svantaggiato.
La responsabilità dell’attuazione del modello spetta ai Paesi, ai produttori di vaccini e alle organizzazioni internazionali. Esse hanno infatti ruoli indispensabili nella valutazione empirica di come la distribuzione dei vaccini influenzi i Paesi rispetto alla povertà.
È necessario cercare di evitare un effetto domino nazionalistico-sanitario, in cui i governi si fronteggiano quali antagonisti in competizione per assicurarsi una corsia preferenziale a qualsiasi soluzione promettente. La globalizzazione della vulnerabilità richiede una solidarietà di uguale portata.
Giulia Chiapperini