C’è stata una fase iniziale, in questa primavera sadica, in cui a sfidare i divieti erano soprattutto i ragazzi. Sfrontati, irridenti, convinti – come siamo stati tutti – della propria immortalità. Ora se ne vedono molti meno. Probabilmente hanno capito, o hanno mamme che gli agitano il mattarello sul naso se provano ad allacciarsi le scarpe.
In compenso fuori è pieno di anziani.
Oggi, per la prima volta da inizio quarantena, per lavoro ho dovuto fare un tratto di città più lungo del consueto casa-alimentari, e ho notato questa cosa di cui prima non mi ero accorto: gli unici in giro erano gli anziani.
Palesemente sfaccendati, senza nemmeno l’alibi apparente di una sporta per la spesa, lenti nel camminare, talvolta proprio fermi: in un semidistanziato crocchio di chiacchiere.
Ne ho visti alcuni davanti al bar: chiuso. Ma loro erano lì lo stesso.
Per capire se era un caso ho chiesto un po’ in giro, attraverso il pc da cui vi scrivo adesso. Pare di no. Diverse testimonianze in più città mi hanno confermato la stessa cosa. Anziani con cane e senza cane, con mascherina e senza mascherina, con barba sfatta e con barba pulita.
Me lo aveva anche detto la mia panettiera, qualche giorno fa. Ha il negozio davanti a un cassonetto: «I peggiori sono i vecchi, che scendono ogni due ore a buttare sacchetti piccolissimi». Non sono tuttavia riuscito a condividerne lo sdegno: ha prevalso la tenerezza per questi anziani soli che si centellinano pure la monnezza pur di uscire qualche minuto di casa.
Così ho pensato alle mille ragioni possibili per cui i vecchi escono di più, a dispetto del fatto noto anche ai sassi che sono i più a rischio, i più vulnerabili, i primi a finire intubati.
Forse escono di più, banalmente, perché molti di loro vivono soli, in vedovanza, ed è durissima stare tutto il giorno soli in casa, vale pure per me che ancora del tutto vecchio non sono – e neppure vedovo.
Forse escono di più perché non usano internet, questa quotidiana contraffazione di socialità che ci fa passare il doppio del tempo su Facebook.
Forse escono di più perché spesso non sei un pensionato ricco, quindi vivi in spazi ristretti, e trenta metri quadri sono meno della cella di Breivick.
Forse escono di più perché non hanno Netflix né Amazon Prime, si devono accontentare della tivù generalista che in queste settimane sta offrendo uno spettacolo pessimo seppur misto, cioè metà squallido e metà ansiogeno.
Forse escono di più perché coltivano il rito antico del giornale di carta che mai come in questi giorni si sta rivelando utile: non tanto per quello che contiene, ma perché consente di arrivare legalmente fino all’edicola – e comunque una mezz’ora poi riesci a bruciarla, a casa, solo leggendo i titoli e un paio di articoletti.
O forse escono di più semplicemente perché gliene frega di meno, alla fine.
Un lungo futuro davanti non ce l’hai comunque, da vecchio, e quando non hai un futuro non puoi accettare che ti si rubi anche il presente – e ti si lasci solo col passato.
Stare chiusi in casa, senza niente da fare, non lo vedono come “un periodo”, come un tunnel da attraversare e con una luce in fondo. Lo vedono, più o meno consciamente, come un anticipo di morte.
Lo vedono come un infame, cinico e immeritato furto dell’ultimo scampolo di vita.
E allora escono, più indifferenti che impavidi, a riprendersene almeno un brandello, più ribelli e imprudenti dei ventenni.
Alessandro Gilioli