Coronavirus e inquinamento: davvero la pandemia aiuta l’ambiente?

coronavirus e inquinamento

Nel decennio decisivo per il clima arriva la pandemia. Sembra un avvertimento. Un’ultima chiamata. A un prezzo altissimo si sta rilevando un’opportunità unica per ripensare a stili e modelli di vita più sostenibili

La natura si sta riprendendo i suoi spazi. La calma, il silenzio, le strade vuote, hanno permesso agli animali di avvicinarsi anche ai luoghi abitati. Una risposta “naturale” all’isolamento dell’uomo. Un ribaltamento del rapporto uomo/natura nel periodo di lockdown che si è rivelato un rapporto inversamente proporzionale. Già questo dovrebbe far riflettere. Ma andiamo avanti. Con natura non s’intendono solo gli animali, ma l’ambiente tutto e con esso la vegetazione, il clima, la qualità dell’aria, la temperatura del pianeta. È singolare che all’inizio del decennio decisivo nella lotta contro il surriscaldamento globale sia arrivata la pandemia. Come una forza sovrannaturale si è avventata sulla Terra, senza chiedere permesso, è entrata brutalmente nelle nostre case e ci ha imposto un arresto. Uno stand by per lo meno. Ha messo in pausa la nostra frenetica, redditizia, inquinante, vita.




L’esempio del Nord Italia

La Pianura Padana nel Nord Italia, con i suoi ritmi produttivi altamente elevati, tra le aree più inquinate d’Europa, ha registrato in questa fase di emergenza, un cambiamento drastico. Il satellite mostra la  diminuzione di alcuni inquinanti, tra cui il biossido di azoto (NO2), che da solo causa ogni anno la morte precoce in Italia di 14.600 persone per inquinamento e polveri sottili, secondo le stime dell’Agenzia europea per l’ambiente. In Lombardia, c’è stata la  una riduzione della densità di concentrazione di NO2 del 10 per cento a settimana, nell’ultimo mese.

Dopo la Cina, per cui si stima una riduzione di 200 milioni di tonnellate di CO2, dovuta alla riduzione dell’utilizzo del carbone in ambito industriale, anche per l’Italia è attesa una riduzione delle emissioni inquinanti e di CO2: un calo legato al minore traffico nelle città, agli spostamenti limitati, al regime ridotto delle attività produttive. Il calo drastico dei viaggi in aereo contribuirà alla più importante riduzione delle emissioni di gas serra nell’ultimo secolo.

L’emergenza globale si tradurrà con la riduzione del biossido di carbonio a livello in globale per tutto il 2020, indipendentemente da quanto veloce sarà la ripresa. Ma non è sufficiente.

Il calo di CO2 non basta

La diminuzione di CO2 per un tempo limitato non porta benefici al pianeta. La concentrazione di CO2 nell’aria tende a
restare elevata per diversi mesi dopo la diminuzione dell’inquinamento umano. Non solo, quando l’economia ripartirà a pieno regime si assisterà forse a un aumento delle emissioni ancora più veloce che negli anni precedenti alla crisi, per recuperare il “terreno” perduto.
In più, durante una crisi, è più difficile investire  in fonti rinnovabili. Gli effetti positivi dovuti al calo delle emissioni vengono superati dalla diminuzione dei progetti green durante la fase di ricostruzione dell’economia. L’Unione europea, in difficoltà economica, potrebbe sospendere gli investimenti in progetti più sostenibili dal punto di vista ambientale; la Cina potrebbe invece rilanciare la costruzione di centrali a carbone; gli Stati Uniti di Trump, già contrari agli Accordi di Parigi sul clima, potrebbero trovare nuovi alleati nella guerra contro le contestazioni ambientali.

Del resto, le strategie condivise a livello mondiale per la lotta alla crisi climatica sono per ora rimandate. A causa della pandemia di COVID-19 la COP26la 26eisma conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si sarebbe dovuta svolgere dal 9 al 20 novembre prossimo a Glasgow in Scozia, è stata rinviata a data da destinarsi nel 2021. Dovranno attendere le promesse fatte nelle conferenze precedenti di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra e decrescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi.

La crisi inoltre potrebbe aumentare la dipendenza degli Stati dal petrolio: potrebbero infatti rallentare le produzioni di batterie elettriche ad esempio e il calo del prezzo del greggio rende meno competitiva qualsiasi altra produzione alternativa.

Coronavirus e polveri sottili

La ricerca della Società Italiana Medici Ambientali sostiene che le polveri sottili permettono al Coronavirus di rimanere per più tempo nell’aria (effetto boost e carrier), quindi aumentando la diffusione nelle zone più inquinate, come la Pianura Padana. Non solo, l’esposizione alle polveri sottili può aver reso più vulnerabili le persone e maggiormente propense a  patologie del sistema cardio-respiratorio. Di conseguenza, sono facilmente più attaccabili dal virus e più esposte a conseguenze drammatiche, come la morte.
Ma la correlazione tra coronavirus e inquinamento al momento è ancora oggetto di discussione tra gli esperti e i medici dell’ambiente.

Il bicchiere mezzo pieno

Se invece vogliamo vedere la parte più ottimistica della questione, potremmo fare un’analisi più fiduciosa nel futuro. La decrescita brusca e limitata nel tempo dell’attività economica non è la soluzione migliore per aiutare il clima.  L’ambiente ha bisogno di una stabilità green duratura. Quindi il vero aiuto sarebbe quello di rendere strutturali le misure che si stanno adottando ora per l’emergenza, dallo smart working (che riduce gli spostamenti di milioni di persone) a una produttività meno elevata che comunque garantisca gli standard di servizi di un Paese moderno; investendo anche in fonti rinnovabili perché l’altra faccia della medaglia potrebbe essere proprio quella di sfruttare in modo più massivo energie quali quella solare, eolica ad esempio, per rialzarsi e ritornare ai livelli di pre-crisi.

Il mondo potrebbe imparare tanto da questa pandemia. La politica in primis, le grandi scelte economiche, ma anche le piccole abitudini quotidiane dei cittadini. Sembra quasi un avvertimento, un’ultima chiamata. A un prezzo altissimo il Coronavirus si sta rilevando un’opportunità unica per ripensare a stili e modelli di vita più sostenibili.

Marta Fresolone

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