Coronavirus a Bergamo, quello che i dati ufficiali non dicono

Coronavirus a Bergamo

Il Coronavirus a Bergamo ha causato uno scenario agghiacciante. I numeri dei bollettini sono cresciuti vertiginosamente in pochissimo tempo e non sembrano volersi arrestare.

Sono i dati a parlare e il Gruppo Mazza di Castelli Calepio (BG), realtà aziendale attiva nel settore della gomma e della plastica, lo sa bene.

La proprietà ha agito in un’ottica di salvaguardia della salute sin dal primo giorno dell’emergenza coronavirus a Bergamo, dando in dotazione ai propri lavoratori i dispositivi di protezione individuale, bloccando le trasferte in Italia e all’estero, vietando l’accesso a fornitori e clienti, ma soprattutto acquistando uno stock di test sierologici, su segnalazione del medico competente dell’azienda, Fortunato Custureri.

Ad inizio aprile, spiega l’amministratore delegato dell’azienda, Fioroni, il Gruppo Mazza ha sottoposto i propri dipendenti ai test sierologici su base volontaria.

L’esito? 1 lavoratore su 5 è risultato positivo al test, cioè circa il 18% della forza lavoro complessiva.

Un numero che fa rabbrividire e un risultato scioccante per molti. Infatti,  la maggioranza non aveva mostrato alcun malessere solo una piccola parte aveva accusato i sintomi di una lieve influenza.

Tuttavia, è necessaria una specificazione. Il test proposto ai propri lavoratori dal Gruppo Mazza è un test sierologico su membrana. La risposta si ottiene nel giro di una quindicina di minuti, in seguito al prelievo di qualche goccia di sangue dal polpastrello. Si tratta di una versione “rapida” del test sierologico, che si differenzia notevolmente dal test sierologico su prelievo venoso, come chiarisce il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, qui.




Il test sierologico serve a determinare se si è entrati in contatto con il virus, ricercando gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario in seguito ad una possibile pregressa esposizione. È un test che diagnostica la presenza o meno di anticorpi, ma non certifica, poi, la guarigione.

Nonostante questa versione del test non sia troppo affidabile, i numeri che ne risultano sono spaventosi. Così come lo sono in tutta la provincia di Bergamo.

È il sindaco della città, Giorgio Gori, ospite a Che Tempo Che Fa, a provare a dedurre una cifra approssimativa dei contagi in provincia. Il primo cittadino constata la differenza tra il numero di decessi a causa del coronavirus a Bergamo dichiarati alla fine del mese di marzo e il numero di decessi accertati dagli uffici anagrafe della provincia.

Applicando un indice di mortalità dell’1,5% si può stimare un numero di contagiati al di sopra dei 300 000 e questo numero cresce se si applica un indice di mortalità più basso (ad esempio, diventano 450 000 contagiati se si applica un indice pari all’1%).

“Stiamo parlando di una cifra molto elevata, quasi il 50% della popolazione”

Il sindaco aveva già sostenuto che per ogni deceduto a causa del coronavirus a Bergamo ce ne fossero almeno altri tre, deceduti tra le mura di casa e senza essere stati sottoposti al test. Un dato che fa rabbrividire.

E anche se la chiesa del Cimitero Monumentale si svuota, finalmente, dopo oltre 40 giorni, l’immagine dei camion dell’esercito che in fila lasciano la città è scolpita nei cuori e nelle menti dei bergamaschi. E anche se la pressione sugli ospedali diminuisce, la paura non cessa di farsi sentire e con essa crescono gli interrogativi e il senso di rabbia dei cittadini, causando le reazioni emotive più svariate: si sarebbe potuto fare di più? Si sarebbe potuto fare meglio?

Interrogativi aperti e che forse resteranno tali. Nel frattempo la città piange i suoi morti in silenzio. Un silenzio assordante.

 

Giorgia Battaglia 

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