Salvini e Balotelli secondo round
Così potremmo definire la dichiarazione dell’ex ministro degli interni Salvini a proposito degli cori razzisti da parte della tifoseria del Verona calcio avvenuti domenica durante la partita Verona-Brescia.
Con 20 mila posti di lavoro a rischio, Balotelli è l’ultima mia preoccupazione, ma proprio l’ultima ultima ultima. Vale più un operaio dell’Ilva che 10 Balotelli. Il razzismo va condannato ma non abbiamo bisogno di fenomeni
Un commento che ad un primo sguardo vede il leader della Lega evitare il tema del razzismo e lanciare una frecciata al calciatore che già nel Luglio scorso aveva risposto per le rime all’allora ministro, ma che, guardando più da vicino, ci mostra nella sua semplicità la macchina dell’odio in azione. In un colpo solo, da una parte legittima il razzismo e dall’altra raccoglie ed indottrina consenso.
Ma procediamo con ordine.
La frontiera del razzismo: Cosa significa “Balotelli è l’ultima mia preoccupazione”?
Balotelli è un calciatore, guadagna all’ anno quanto un operaio non vedrà mai nella vita, è noto per la poca disciplina, in sostanza è un ragazzo ricco e viziato. Ma Balotelli è anche nero e di origine africana (e qui generalizziamo di proposito).
Il messaggio di Salvini dice chiaramente che non è di un ragazzino ricco e viziato che deve occuparsi, tanto più se nero e neppure tutto Italiano.
In questo modo sposta l’attenzione dall’azione organizzata e collettiva dei cori razzisti da parte dei tifosi, alla criminalizzazione della vittima: Balotelli, un ragazzo nero, che non sta alle regole, che non lavora per vivere e che si lamenta se lo prendono in giro.
L’abbuffata del consenso
Nel secondo atto accende le luci sulla crisi dell’ Ilva di Taranto, in cui uomini e donne, come milioni di altri italiani veri, ogni mattina si alzano per guadagnarsi uno stipendio a malapena sufficiente a mantenere la sua famiglia e i suoi bambini, tra inquinamento e precarietà. “Vale di più un operaio dell’Ilva che 10 Balotelli”.
Che cosa ci dice il re del Papeete agli operai?
Dice a tutti noi, che sono loro la priorità, e mi raccomando, non una priorità, ma LA priorità, sopra tutte le altre, più forte dei diritti umani, più forte di qualunque altro diritto di qualcuno che non sia come loro. E qui raccoglie milioni di consensi. È difficile non condividere la rabbia, la paura e non empatizzare con i lavoratori Tarantini, specchio dell’incertezza del lavoro e della salute che si respira in Italia, soprattutto nelle crescenti fasce meno abbienti del paese.
La macchina dell’odio
Sul finale, dopo aver decretato che insultare un nero non è razzismo, per meriti personali o perché è ricco e viziato, e dopo aver dato una speranza di attenzione ai lavoratori di tutto il paese, condanna il razzismo e ci ricorda che abbiamo bisogno di lavoratori, di persone che risolvano le cose, non di fenomeni.
Forse ha scordato di dirci che l’unico fenomeno ammesso è proprio Salvini, che senza aver mai lavorato, si propone come il salvatore dei lavoratori e del popolo intero.
Ed ogni volta che gli si rimprovera razzismo, ogni volta che ci si ribella ai cori o ad altri comportamenti razzisti, l’effetto boomerang è garantito: se i cori razzisti diventano legittimi, il razzista è colui che non li approva, perché contrario ai lavoratori italiani.
In questa logica, il razzista è semplicemente chi dà torto a Salvini il salvatore della patria, e più lo si dice, più si legittima il meccanismo.