Corea del Nord, test di una nuova arma ultramoderna

A quasi un anno di distanza dall’ultima ispezione del dittatore nordcoreano Kim Jong-un ad una tecnologia militare, la Corea del Nord torna ai suoi test bellici. Stavolta, però, non si tratterebbe di un missile intercontinentale, ma di una nuova “arma tattica ultramoderna“.




Così ha dichiarato l’agenzia di stampa del regime nordcoreana, senza specificare di che tipo di arma si trattasse, e aggiungendo che questa nuova arma “difenderebbe il territorio con barriere di ferro”.

Al di là delle ambiguità delle dichiarazioni, ciò che è chiaro – guardando anche le immagini diffuse dalla televisione nordcoreana – è che al test era presente il dittatore Kim, in quella che sarebbe la sua prima visita pubblicizzata a un sito di test militari dallo scorso novembre. Con la differenza che l’anno scorso di trattava del test di un missile balistico intercontinentale. Di conseguenza, secondo il New York Times, il dittatore nordcoreano non avrebbe violato alcun impegno che il regime si era preso lo scorso aprile, poiché l’impegno si riferiva a test di armi nucleari e su missili a lungo raggio, e non “nuove armi tattiche ultramoderne” – come le ha definite Pyongyang. Inoltre, secondo l’analista Adam Mount, dato che si trattava soltanto di “impegno”, non c’è nessun accordo che Kim stia violando.

Corea del Nord: Kim e il test con una nuova arma tattica ultramoderna

La reazione degli Stati Uniti

Nel corso di quest’anno, il rapporto tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti si è svolto tra alti e bassi, tra minacce del regime di continuare il suo programma nucleare e “lettere d’amore“. Oggi, di fronte al test di questa nuova arma, il vice presidente americano Mike Pence dichiara “Sono stati fatti grandi progressi, ma c’è ancora molto da fare“, sottolineando che fino ad un anno e mezzo fa ci fossero  “test nucleari, missili che volavano sul Giappone e minacce e propagazioni contro USA e altri“.

Nonostante l’ottimismo di Pence, in questo periodo i rapporti tra i due Paesi pare si stiano di nuovo raffreddando: la scorsa settimana il capo negoziatore nordcoreano Kim Yong-chol era atteso a New York per un incontro con il segretario di Stato Mike Pompeo, per discutere di denuclearizzazione e di un altro summit tra Trump e Kim entro i primi mesi del 2019. Tuttavia, all’ultimo momento l’incontro è stato rimandato per cause ignote.

Inoltre, nonostante la scoperta di almeno 13 nuove piattaforme di lancio missilistico mai dichiarate da Pyongyang, Trump dichiara che non c’è nulla di nuovo e che il regime non è più una minaccia. Contemporaneamente, però, Pyongyang cancellava pure la partecipazione a un forum internazionale a Seul.

Inconciliabilità delle richieste

Malgrado il feeling tra Trump e Kim, il problema sembra essere l’inconciliabilità tra le posizioni negoziali: da una parte gli USA chiedono una denuclearizzazione completa, irreversibile e verificabile del regime mediante la condivisione delle informazioni su tutti i suoi siti e testate atomiche; dall’altra parte, la Corea del Nord in cambio degli impegni già presi, come la distruzione della struttura per i test sotterranei, chiede una dichiarazione di fine delle ostilità e un primo alleggerimento delle sanzioni.

Il peso delle sanzioni

Quest’ultime sembrano essere il motivo principale di questo nuovo test: infatti, dopo quasi un anno in cui Kim si mostra disponibile e comprensivo, la Corea del Nord si ritrova nella medesima situazione di un anno precedente, ovvero con la prospettiva di dover affrontare un altro inverno di stenti. Il test di questa nuova “arma tattica ultramoderna” sembra più un avvertimento di come le sanzioni continuino a pesare al regime che, dopo le aperture di quest’anno verso Seul e Washington, forse si aspettava almeno un alleggerimento delle stesse.

Domenico Di Maura

 

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