La “doppia faccia” della Corea del Nord, divisa tra mistero e repressione

Una delle immagini censurate dal Regime di Kim Jong Un perché evidenziano l'estrema povertà di alcune famiglie.

Benvenuti in Corea del Nord, paese dalle mille sfumature e con più restrizioni che libertà. Negli ultimi anni, il Paese è stato al centro dell’attenzione mediatica e politica per i test missilistici voluti da Kim Jong-un che hanno portato il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ad approvare, all’unanimità, l’aumento delle sanzioni economiche e la riduzione del 90% delle vendite di petrolio alla Corea del Nord.




Se sulla politica interna e estera della Corea del Nord si hanno numerose informazioni, sulla vita quotidiana dei 25 milioni di cittadini nordcoreani aleggia il mistero. Questa sicuramente è una delle conseguenze del Regime che è l’artefice di una politica autoritaria, dove i cittadini hanno più obblighi, leggi che libertà.

Da una parte, questo è confermato dal fatto che i cittadini hanno svariate difficoltà a uscire dai confini nazionali e lo stesso vale per gli stranieri, soprattutto per determinate categorie. Ciò è dimostrato dal divieto che impedisce ai giornalisti e fotografi professionisti di entrare nel Paese così da evitare il pericolo di una descrizione negativa del paese.




Ma è anche l’esempio tangibile di quanto le politiche adottate da Kim Jong-un cerchino di dare una rappresentazione “distorta” della realtà poiché con il divieto di scattare foto, vogliono impedire che circolino in Rete o nel mondo delle immagini che possano danneggiare il Regime. Per questo motivo, la Corea del Nord occupa l’ultimo posto della classifica di “Reporter sans frontieres”, sulla libertà di stampa.

A conferma di ciò, giungono anche i dati dei rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch che evidenziano come il Regime abbia imposto “severe restrizioni al diritto alla libertà di espressione” e che migliaia di cittadini siano stati obbligati dalle autorità a lavorare all’esterno, molto spesso in condizioni difficili.




Il quadro che esce da questi rapporti mostra come la Corea del Nord sia “uno dei regimi autoritari più repressivi al mondo”, dove viene mantenuto costantemente uno dei livelli più bassi di rispetto e difesa dei diritti umani.

Un ambito dove il Regime interviene spesso e in maniera autoritaria, è quello inerente le politiche familiari. Ogni nucleo familiare è obbligato a registrare la nascita di ogni figlio presso la polizia, la polizia segreta e il municipio locale. In seguito a questa registrazione, il neonato otterrà uno status che sarà uguale a quello detenuto dal padre ovvero “speciale”, “nucleo”, “base”, “complesso” o “ostile”.

In base allo status, sarà deciso il destino del bambino quindi il luogo in cui vivrà, se potrà far parte del Partito dei lavoratori e in quale università dovrà andare a studiare. La residenza determina anche la libertà di movimento di ogni cittadino: chi non vive a Pyongyang infatti non può uscire dal paese senza prima essere stato autorizzato dallo Stato.

Proprio l’istruzione è lo strumento più utilizzato per instillare la fedeltà al Regime nei cittadini nordcoreani e ciò avviene sin da quando hanno 5 anni. In questo modo plasmano il sistema educativo in base alla propaganda di partito.

Sin dall’istruzione primaria, si insegna il massimo rispetto (tanto da sconfinare, a volte, in una vera e propria “adorazione”) nei confronti delle due figure politiche più importanti: Kim Jong Un, l’attuale leader supremo, e Kim Il Sung, fondatore della Corea del Nord. Inoltre nella scuola primaria, la cosiddetta “scuola del popolo”, una delle materie più importanti è l’etica socialista.

Il Partito dei lavoratori della Corea ha un ruolo fondamentale nella vita del Paese tanto che non si può considerare solo un partito, sarebbe riduttivo visto che somiglia più a un’organizzazione burocratica che determina e condiziona la vita di chi decide di entrarne a far parte. Infatti chi decide di arruolarsi, diventerà automaticamente un membro della elité e sarà esentato dallo svolgere lavori pesanti.

L’arrivo di Kim Jong-un, nel 2012, ha ridotto ancora di più la circolazione di informazioni così da rendere la Corea del Nord un regime totalitario: infatti l’agenzia centrale coreana di notizie (KCNA) è l’unica fonte di notizie ufficiali per i media.

Ma molti cittadini non sono soddisfatti delle loro condizioni di vita tanto che negli ultimi 20 anni decine di miglia di cittadini hanno abbandonato la Corea del Nord. Scappare molto spesso si rivela una scelta controproducente: chi abbandona il Paese, a volte finisce per diventare schiavo in Russia o Cina.

E a quel punto, in molti si trovano di fronte a un bivio: preferire una condizione di schiavitù fisica o ideologica?

Dorotea Di Grazia

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