La Direttiva UE sul copyright è uno dei grandi pilastri del Mercato Unico Digitale, al secondo posto degli obiettivi della Commissione Junker.
Fondamento per la creazione di un unico schema normativo disciplinante il mondo digitale (ad oggi regolato da 28 legislazioni nazionali). Il Digital Single Market vuole portare nel digitale l’assenza di barriere che ad oggi abbiamo in quello fisico. Con la direttiva sul copyright si vuole in prima istanza semplificare il riconoscimento del diritto d’autore, ma come?
La direttiva punta a tutelare il copyright su internet, diritto quasi assente dal mondo digitale.
Il riconoscimento del diritto d’autore è incentrato sui reclami avanzati dagli autori stessi per la rimozione dei contenuti. Reclami quasi impossibili nel mondo digitale. Spesso le aziende sono dislocate oltre confine, soggette a normative differenti e anche il responsabile è a volte difficilmente individuabile. Nella direttiva UE, giunta ormai al terzo anno di discussione e prossima al voto finale, viene trasferito dagli autori alle piattaforme l’obbligo di rimuovere i contenuti non autorizzati. Inoltre viene stabilita la creazione di meccanismi più diretti e semplificati per la proposizione dei reclami. Troviamo, infatti, negli articoli 11 e 13 la disciplina di tale obbligo.
L’obbiettivo fondamentale è quello di “responsabilizzare” piattaforme quali, Facebook , YouTube e Google (soprattutto) sulla diffusione e “sfruttamento” di contenuti prodotti da altri.
Forzare quindi questi colossi a retribuire il lavoro altrui, spesso diffuso tramite utenti e non soggetto ad alcun controllo.
La Direttiva UE è ampia e molto articolata. Il suo fine è certamente utile (oltre che economicamente vantaggioso) e sarebbe la creazione di un mercato unico che integri anche il digitale, settore ormai predominante a livello commerciale. Tuttavia, rilevanti proteste e voci contrarie si sono levate contro questa direttiva. Da sottolineare i sopracitati articoli 11 e 13. Ma perché?
Le critiche e le preoccupazioni attengono alla libera condivisione e innovazione di internet, si passa da un mondo virtuale quasi completamente libero a un regime di sorveglianza automatizzata obbligatoria per le piattaforme.
Tra le tante proteste, oltre che da parte dei colossi digitali come Google, Facebook e YuoTube, troviamo anche le preoccupazioni di piattaforme come Wikipedia, che, per esempio, il 3 luglio 2018 ha bloccato l’accesso per sensibilizzare l’opinione pubblica all’argomento. I timori attengono alla libertà di espressione e condivisione, ai possibili limiti alla divulgazione di notizie e alla sopravvivenza di piattaforme per la condivisione, ma questi timori sono stati, in parte e forse un po’ timidamente, placati dalle modifiche apportate al testo della direttiva e alle rassicurazioni sui soggetti a cui saranno rivolti gli obblighi. Infatti, la direttiva non si applicherà ai contenuti satirici, alla critica, alle piattaforme Open Souce, alle enciclopedie on line e ai portali senza scopo di lucro, oltre che varie concessioni attinenti ai livelli di utenti e ai ricavi.
Come ogni legge varata, anche se teoricamente e filosoficamente ineccepibile, solo l’applicazione ci potrà rivelare i vantaggi e gli svantaggi.
I vantaggi, anche e soprattutto economici, sono notevoli. La creazione di una normativa unica digitale sarà anche capace di contrastare le Fake News, vera minaccia alla libertà di espressione e alle democrazie occidentali. Le preoccupazioni sono però comprensibili. La tutela dei diritti deve viaggiare parallelamente alla libertà di internet. Questo il vero fondamento da tutelare e la sua ragion d’essere, e si spera che nell’applicazione della normativa, e nelle sue certe future modifiche, si terrà in considerazione questo aspetto fondamentale.
Leandro Grasso