A Glasgow la Cop26 è appena iniziata ma i capi di stato e di governo hanno già annunciato come affronteranno la crisi climatica. Fa ben sperare l’accordo riguardo la neutralità carbonica, ma spaventano le tempistiche entro cui i vari paesi, India in primis, intendono rispettare la promessa
L’ ultimo report rilasciato dall’IPCC – il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico – ha messo nero su bianco che per arginare gli effetti più catastrofici dovuti al surriscaldamento globale bisogna agire subito. Tuttavia, Stati Uniti e Unione Europea hanno detto che raggiungeranno un livello di emissioni nette di gas serra pari a zero nel 2050, Cina e Russia nel 2060. Fra tutte le promesse quella che più preoccupa è quella dell’India, che ha annunciato che smetterà di aggiungere gas serra nell’atmosfera – così da raggiungere la neutralità carbonica- solamente a partire dal 2070.
L’India è il quarto maggior paese in termini di emissioni di anidride carbonica, fra i gas ad affetto serra che più contribuiscono al riscaldamento globale. Prima ci sono solo Cina, Stati Uniti e Unione Europea. L’annuncio del primo ministro indiano Narendra Modi circa l’impegno che anche l’India assumerà per combattere la crisi climatica è quindi significativo. Tuttavia, fa nascere anche molte preoccupazioni. Infatti, il 2070 è ben oltre l’obbiettivo della neutralità carbonica entro metà secolo indicato dagli scienziati per frenare i danni più gravi dovuti al cambiamento climatico.
A ragione esperti e attivisti sono rimasti delusi dalle promesse di New Dehli. Di questo passo è quasi certo che l’obiettivo del contenimento del riscaldamento globale entro gli 1.5C° sarà mancato. Tuttavia, l’annuncio di Modi era prevedibile.
Prima di tutto, è vero che l’India emette enormi quantità di gas serra nell’atmosfera ogni anno, ma è anche vero che, data la sua enorme popolazione, le emissioni pro-capite sono molto inferiori rispetto a quelle delle altre maggiori economie mondiali. Statisticamente ogni cittadino cinese emette 8.1 tonnellate di CO2 all’anno, ogni americano 15.5, ogni europeo 6.5. Ogni indiano solamente 1.9 tonnellate. Il margine di azione di New Delhi è molto minore rispetto a quello degli altri attori citati.
Inoltre, è da riconoscere la ragionevolezza delle parole di Modi che a Glasgow ha sottolineato la necessità per il suo paese di conciliare gli obiettivi del taglio della CO2 con le esigenze di sviluppo. Il prodotto interno lordo dell’India è l’82% inferiore rispetto a quello delle economie più sviluppate. Il tasso di occupazione è basso e in calo. Il coefficiente che misura la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è alto, indice del fatto che un’ampia parte della popolazione vive in una condizione di povertà.
Uno degli argomenti diffusi fra i paesi in via di sviluppo per giustificare i loro minori impegni in termini di taglio delle emissioni fa spesso riferimento alla necessità di crescere economicamente. Aumentare il PIL al fine di migliorare le condizioni di vita della popolazione. Le maggiori economie mondiali hanno inquinato per decenni senza alcun limite, raggiungendo così notevoli livelli di crescita e benessere. Ora anche le economie emergenti rivendicano il proprio diritto a inquinare.
In realtà Modi è consapevole che crescere a spese del clima è rischioso, anche in termini economici. Recenti analisi sottolineano che l’India è fra i paesi più esposti alle conseguenze catastrofiche dei cambiamenti climatici: inondazioni, siccità, cicloni. Da un punto di vista economico questo potrebbe costare al paese una riduzione del 2.8% del PIL e abbassare ulteriormente il tenore di vita della popolazione.
Conciliare l’obiettivo della crescita economica con quello della gestione della crisi climatica non è semplice. New Dehli progetta ancora di aprire nuove centrali a carbone, fonte energetica da cui dipende per oltre il 60% e di cui è provvista in abbondanza. Inoltre, per il momento il carbone è la soluzione più semplice per fornire elettricità agli abitanti dell’India rurale, che altrimenti ne rimarrebbero senza. A Glasgow Modi ha però anche annunciato che entro il 2030 il 50% dell’energia prodotta dal paese proverrà da energie rinnovabili e che, sempre entro lo stesso anno, le emissioni di CO2 verranno diminuite di un miliardo di tonnellate.
La promessa di raggiungere la neutralità carbonica solamente entro il 2070 è motivata anche da logiche politiche più spicciole. La politica indiana è ampiamente sostenuta dai finanziamenti di aziende e società, che, grazie anche a strumenti poco trasparenti – come le cosiddette “obbligazioni elettorali”- alimentano le casse dei partiti e dello stato. Nel 2018, ad esempio, il partito di Modi, il Bharatiya Janata Party, ha ricevuto introiti per un totale di 10.3 miliardi di rupie, di cui il 53.9% da fonti ignote. In cambio dei finanziamenti, industriali e uomini di affari chiedono di non imporre restrizioni alle proprie attività, ad esempio in termini di rispetto dei limiti di inquinamento. Le politiche climatiche di New Delhi sono quindi influenzate dalla necessità di non scontentare chi finanzia le attività di governo e partiti. Anche questo spiega perché l’India ha deciso di non sottoscrivere la promessa di raggiungere la naturalità carbonica entro il 2050.
Il caso Indiano è esemplare del fatto che le politiche verdi sia sono inscindibili da obiettivi di politica economica, sia si fondono alle tradizionali logiche politiche di convenienze elettorali e interessi. Da un punto di vista climatico le promesse di Modi sono poco lungimiranti e dettate da obiettivi di breve termine, come possono esserlo il mantenimento dei consensi in vista della rielezione.
Certo, l’impegno da parte dell’India a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2070 significa che ora tutti i principali paesi emittori hanno dichiarato una scadenza entro cui intendono smettere di aggiungere gas serra nell’atmosfera. Tuttavia, là dove l’IPCC ha segnalato il 2050 come limite ultimo per raggiungere l’equilibrio fra emissioni e assorbimento di gas serra, così da scongiurare i peggiori effetti della crisi climatica, la promessa dell’India è inutile.