La Turchia di Erdoğan ha deciso di lasciare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, nota come Convenzione di Istanbul. La decisone è stata annunciata ieri, 20 marzo 2021, quando il presidente Erdoğan ha apposto la firma al decreto presidenziale.
La Convenzione di Istanbul è il primo trattato vincolante volto a prevenire e contrastare la violenza sulle donne: ad oggi si contano 46 stati firmatari, di cui solo 34 ratificatori. Tale trattato, voluto dal Consiglio d’Europa, impone ai governi di adottare una legislazione interna che contrasti e condanni violenza domestica e abusi, stupro coniugale e mutilazioni genitali femminili.
La Convenzione di Istanbul dal 2011 ad oggi
La Convenzione di Istanbul, che risale al 2011 ma è entrata in vigore dal 2014, deve il proprio nome al fatto che venne redatta nella capitale turca. Nel 2012 la Turchia, già allora guidata da Erdoğan, era stata la prima nazione a ratificare il trattato grazie al sostengo dell’AKP, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, di cui fa parte il presidente.
Negli anni successivi alla ratifica, lo stesso Erdoğan aveva più volte citato la Convenzione di Istanbul come esempio degli avanzamenti del paese nella lotta alla violenza sulle donne e a favore della parità di genere. Tuttavia, il trattato è stato da sempre osteggiato dalle fazioni conservatrici della politica turca, specialmente dai settori più legati alla religione, che lo ritengono in contrasto con i dettami dell’Islam. Infatti, secondo la piattaforma contro i femminicidi Kadin Cinayetlerini durduracagiz platformu (We Will End Femicide), la Convenzione di Istanbul, per quanto ratificata, non avrebbe mai avuto una reale applicazione.
Nel 2020 in Turchia si sono verificati oltre 300 casi di femminicidio e in questi primi tre mesi del 2021 se ne contano già 74; nel 2018 e nel 2019 le vittime sono state oltre 400 per entrambi gli anni. Tali allarmanti cifre tengono conto non solo degli assassinii ma anche dei frequenti suicidi delle donne vittime di violenza psicologica e oppresse dall’autorità maschile. Negli ultimi mesi questa gravissima situazione, unita alla notizia della possibile uscita della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, ha scatenato manifestazioni e proteste in tutto il paese.
Le motivazioni del ritiro dalla Convenzione
Secondo quanto affermato dai conservatori, la Convenzione di Istanbul minerebbe l’integrità della famiglia incoraggiando le donne a denunciare le violenze subite e a chiedere lo scioglimento del matrimonio. Inoltre, i valori di uguaglianza promossi dal trattato avrebbero avuto il difetto di incentivare le battaglie dei movimenti LGBTQ. In poche parole, la Convenzione di Istanbul andava abbandonata poiché inciterebbe al divorzio e all’omosessualità.
Il vicepresidente turco Fiat Oktay ha dichiarato che la tutela e il rispetto delle donne fanno già parte della cultura e della tradizione turca e che non vi è bisogno di esempi stranieri; allo stesso modo si è espressa il ministro per la famiglia Zehra Zumrut Selcuk, sostenendo che i diritti delle donne sono comunque già garantiti nella legislazione.
Come già accaduto per la Polonia nel luglio 2020 a seguito della vittoria di Duda, il ritiro dalla Convenzione si allinea anche in questo caso con una politica via via più autoritaria e con un’ulteriore stretta alla parità di genere. Diversi osservatori internazionali hanno fatto presente come la decisione di Erdoğan coincida con un pesante calo della sua popolarità. Le reali motivazioni del ritiro dalla Convenzione di Istanbul sarebbero dunque legate alla necessità del presidente turco di attirare il consenso dei gruppi islamici e dei membri più conservatori dell’AKP, ingraziandosi una fetta di elettorato sempre più ampia.
Le reazioni nazionali e internazionali
Il ritiro della Turchia dalla Convenzione ha immediatamente suscitato critiche da parte dell’opposizione e ricevuto il biasimo della comunità internazionale. Il segretario generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejcinovic Buric ha dichiarato che tale decisione è da considerarsi come un enorme passo indietro nella tutela dei diritti delle donne, non solo in Turchia ma anche in Europa e nel resto del mondo. La socialdemocratica Canan Kaftancioglu, leader del partito di opposizione CHP, ha dichiarato che non si farà intimorire dalla decisone e che lotterà per riconquistare i diritti fondamentali delle donne stracciati la scorsa notte dalle azioni di Erdoğan.
Nel frattempo, nelle principali città turche, già imperversano manifestazioni e cortei contro il ritiro dalla Convenzione di Istanbul e altre proteste sono previste per le prossime giornate.
Marta Renno