Che la convention democratica di quest’anno sarebbe stata diversa da quelle che l’hanno preceduta era chiaro a tutti già nei giorni e nei mesi precedenti al suo inizio. Impossibile in tempo di Covid radunare le folle che, negli anni passati, avevano presenziato ai rituali di ufficializzazione delle candidature presidenziali democratiche.
Joe Biden ha dovuto rinunciare al palco, al pubblico e anche, come molti commentatori americani hanno nostalgicamente sottolineato, ai tradizionali palloncini che venivano liberati nelle enormi arene.
L’eccezionalità della convention democratica 2020, però, non è stata determinata solo dal format, tutto sommato riuscito, ma soprattutto dai tempi in cui è stata celebrata.
Michelle e Barack Obama, nei rispettivi discorsi, hanno spiegato meglio di chiunque altro questo aspetto. A rischio ci sarebbe la democrazia americana. Non a caso entrambi si sono soffermati sulla necessità di un voto particolarmente partecipato: il timore è che Trump, in un ulteriore abuso di potere, non riconosca la sconfitta nel caso in cui il risultato non fosse netto.
Il sentimento comune che ha spinto le più diverse personalità a prendere parola durante le quattro sere in favore di Joe Biden è, più in generale, l’apprensione per un futuro in cui Donald Trump sia eletto a governare l’America per altri quattro anni.
Che si opti per la rappresentazione metaforica del concetto, come il repubblicano di lungo corso John Kasich che ha pronunciato il suo messaggio in mezzo ad un vero e proprio crocevia, o che ci si accontenti di esplicitarlo attraverso dure parole, come il progressista Bernie Sanders, la tesi comune è quella per cui i cittadini americani, a Novembre, si troveranno a fronteggiare una scelta decisiva.
Crisi economica, tragedia sanitaria, divisione sociale, deriva istituzionale. Questi sono stati i temi più battuti nel corso delle quattro serate della Convention democratica, scanditi insieme al ritornello della dimostrata incapacità gestionale di Trump.
E di fronte a questi argomenti l’unione di Sanders e Kasich è apparsa coerente. “Trump ha ripudiato i valori repubblicani, serve qualcuno che ricopra il ruolo di presidente con dignità” ha detto il secondo, “con Trump al governo tutti i passi avanti ottenuti attraverso le lotte della parte più progressista del paese verranno vanificati” ha ricordato il primo ai suoi sostenitori chiamandoli a non votare candidati terzi disperdendo voti.
Due anime politiche molto lontane tenute insieme dall’appoggio alla figura di Biden che, infatti, fa della propria capacità di unire le diversità il perno attorno cui ruota la sua richiesta di consenso.
Non a caso come titolo della prima serata sono state utilizzate le parole dell’incipit della costituzione americana, “we, the people”, per far passare un messaggio ripreso anche nel terzo capitolo della convention democratica chiamata “The more perfect union”.
L’obiettivo era mostrare un partito democratico unito, contrastare l’immagine passata nel 2016 con Hillary Clinton. In due video, mandati in onda nel corso della prima e dell’ultima serata, tutti i partecipanti alle primarie hanno preso parola in supporto dell’ex vice di Obama.
Altre voci repubblicane, oltre a quella di Kasich, si sono poi levate in suo supporto. Un filmato celebrativo dell’amicizia tra Biden e John McCain nel corso del quale è stata più volte sottolineata la grande predisposizione del primo a “trovare una mediazione politica senza rinunciare ai propri principi”, è stato mostrato nel corso della seconda serata.
Il messaggio veicolato dalla convention democratica, però, non è solo quello di un Biden unificatore politico, ma anche e soprattutto sociale.
Mentre Trump non ha fatto altro che esacerbare le divisioni interne alla società statunitense, l’intenzione, almeno dichiarata, di Biden è quella di favorire l’unità attraverso la valorizzazione delle diversità che identificano le comunità che compongono l’America.
Tutti i temi più squisitamente politici, dalla questione economica a quella sanitaria passando per i problemi relativi al cambiamento climatico, alla politica migratoria, alla “gun violence” e alla violenza sulle donne, affrontati diffusamente nel corso della terza serata, sono stati declinati dal punto di vista della loro incidenza sulla vita quotidiana delle persone e con una particolare attenzione alle minoranze.
Le scelte di “programmazione” della convention democratica, del resto, non potevano rendere in modo più evidente la volontà politica annunciata dalla candidatura Biden.
I fratelli di George Floyd hanno preso parola in ricordo delle vittime afroamericane all’inizio della prima serata. L’urgenza della riforma della sanità è stata testimoniata, tra le altre cose, da un video dell’attivista malato di SLA, Ady Barkan.
Un’attenzione particolare è stata messa nel dare spazio ad esponenti appartenenti a tutte le comunità, a tutte le classi ed estrazione sociale. Persino il “Keynote speech”, tradizionalmente tenuto durante la seconda serata da un esponente promettente per il futuro del partito democratico, è stato corale. Diciassette persone hanno recitato il loro discorso in favore di Biden.
Similmente le intenzioni di voto che vengono pronunciate per ufficializzare la candidatura dell’esponente democratico alle elezioni presidenziali, hanno riflettuto la logica dell’esaltazione delle diverse anime della nazione americana. I discorsi sono stati tenuti da politici, attivisti e lavoratori di vari settori, di fronte a luoghi simbolo dei diversi Stati.
La convention democratica ha cercato anche di dire perché Biden sarebbe la persona giusta per tenere insieme le variegate esperienze a cui è stata data voce nel corso delle quattro serate.
Il tema della competenza è stato più volte sollevato. Da Michelle e Barack Obama a Bill Clinton, passando per i diversi segretari di Stato che hanno preso parola; tutti hanno portato avanti la prova dei risultati ottenuti in otto anni da vicepresidente a fianco di Obama.
Ma, e a questo proposito la testimonianza della moglie Jill è stata la più rilevante, sopra ogni altra motivazione c’è il fatto che Biden sarebbe sinceramente interessato alle vicende di ognuno. “He cares”, hanno detto praticamente tutti coloro che hanno parlato. E il motivo per cui gli americani possono fidarsi, è che Joe è uno di loro.
Un uomo di umili origini, che si è fatto da solo. Ha sperimentato perdite importanti e si è rialzato, ha visto un figlio partire in missione militare, ha attraversato nuovi lutti durante il periodo di vicepresidenza ed è tornato a lavoro.
Se la sua storia personale non bastasse a convincere gli americani del fatto che Biden sia un uomo del popolo, poi, ci sono le immagini registrate di lui che conversa con cittadini che hanno avuto esperienze difficili con il sistema sanitario o con lavoratori in difficoltà. Efficaci in tal senso sono state anche le testimonianze come quella dell’addetta all’ascensore che ha raccontato di aver incontrato molti uomini importanti nel suo lavoro e che ha affermato che Joe Biden è uno dei pochi da cui si è sentita effettivamente vista e del bambino a cui il candidato ha fornito consigli su come superare la balbuzie.
La scelta di Kamala Harris come vicepresidente, poi, lo aiuta non poco in questa operazione di avvicinamento ed attenzione alle diversità.
Coloro che non riconoscono la propria storia in quella di Biden possono facilmente identificarsi nella Harris, figlia di immigrati e prima donna di colore candidata alla vicepresidenza. Durante il suo discorso pronunciato con voce inizialmente rotta da sincera emozione nella serata del 19 Agosto, Harris è riuscita a parlare ai membri delle minoranze in America come una di loro, prima che come una loro rappresentante.
Qualcuno che creda nell’inclusività, qualcuno di competente, qualcuno con un piano per risollevare l’America senza lasciare indietro nessuno.
L’uomo giusto per il momento di crisi, come ha ribadito lui stesso nel discorso che ha concluso le quattro sere dei democratici. L’uomo con un piano, con un programma, con una visione.
La candidatura di Biden è stata lanciata su queste note, in una convention che, battendo le aspettative, ha avuto tutto. Tutto, tranne i palloncini.
Silvia Andreozzi