Perennemente in bilico tra prospettiva di progresso e minaccia per l’umanità, la ricerca scientifica ci pone di fronte a essenziali controversie etiche.
I limiti e le potenzialità della scienza, rendono la ricerca scientifica e tecnologica in alcuni specifici ambiti un vero e proprio “campo minato”. Dall’intelligenza artificiale, allo sviluppo di armi di distruzione di massa, alcune aree di ricerca sono da sempre oggetto di controversie etiche. Sappiamo bene infatti che gli sviluppi in questi campi avrebbero un impatto enorme sulla nostra esistenza. Non possiamo inoltre ignorare il fatto che, soprattutto nel lungo termine, non saremmo probabilmente nemmeno pronti ad affrontare quegli stessi sviluppi. La ricerca infatti è un processo lungo e tortuoso che difficilmente porta a risultati immediati. Eppure, ogni minimo risultato costituisce un passo in avanti lungo un percorso collettivo su cui il singolo scienziato non può avere pieno controllo. Non possiamo quindi ignorare il rischio che, passo dopo passo, la ricerca possa prendere una deriva indesiderata.
Come sosteneva il fisico John Ziman, la scienza non può più permettersi di “essere in diniego” rispetto alle possibili conseguenze del proprio lavoro. Forse siamo ancora lontani anni luce dal mondo che vediamo rappresentato in molti film di fantascienza. Eppure la ricerca scientifica, a passi nemmeno così lenti, si muove esattamente in quella direzione. Non possiamo sapere se quello sarà davvero il nostro futuro, sappiamo però che, se mai lo sarà, i dilemmi etici saranno proprio quelli presentati in quei film. L’amore per la conoscenza spesso porta gli scienziati a trascurare il pericolo. Ritengo tuttavia che, a tutela dell’intera umanità, una puntuale, onesta e disinteressata analisi rischi-benefici sia essenziale al fine di valutare l’eventuale prosieguo di qualsiasi ricerca. Sarebbe infatti auspicabile che la scienza fosse in grado di fermarsi per tempo prima di trovarsi di fronte a conseguenze al di fuori del proprio controllo.
L’umana coscienza
La più ovvia delle controversie etiche dei nostri tempi è forse la questione dell’intelligenza artificiale. Sebbene ancora rudimentali, le – per ora – verosimilmente innocue applicazioni in questo settore si rivelano spesso estremamente utili nella quotidianità. Tuttavia, i potenziali rischi a lungo termine non possono essere sottovalutati. Se un mondo popolato di androidi senzienti sembra effettivamente ancora lontano o impossibile, è pur vero che la ricerca in questo settore è già più avanzata di quanto potremmo aspettarci. Con il suo Neuralink, ad esempio, Elon Musk intende migliorare l’interfaccia cervello-macchina e, dopo i test già effettuati sugli animali, vorrebbe procedere alla sperimentazione sull’uomo.
Questa possibilità ci porta quindi a un altro argomento controverso: la sperimentazione umana e animale. Al di là della “sperimentazione non etica”, fortunatamente proibita da diverse leggi e dichiarazioni internazionali, esistono altre forme più o meno accettate di sperimentazione. La sperimentazione animale, ad esempio, è oggetto di accesi dibattiti. Da un lato, l’essenzialità della ricerca in ambito medico, per cui l’utilizzo di animali “cavia” è indispensabile. Dall’altro, la necessità di proteggere gli animali sostenuta dalle numerose organizzazioni animaliste. Inoltre, sebbene fortemente regolamentati e basati sul consenso informato, anche i test clinici su esseri umani possono lasciare spazio a dilemmi etici. Dilemmi che il Physicians Committee for Responsible Medicine risolve con la massima “medicinale non necessario, sperimentazione non necessaria”.
Per quanto interpretabile, forse questa massima raccoglie già tutta la differenza tra il sottoporsi volontariamente a dei trial per il vaccino anti-Covid e anche solo l’ipotesi di proporre a qualcuno dei test per il trasferimento della coscienza umana. Anche in questi casi infatti si tratta di valutare, in coscienza, se – alla luce dei rischi per l’incolumità di esseri umani e animali – ne vale veramente la pena.
L’uomo del futuro
Ma se Musk venisse autorizzato a procedere e il suo esperimento avesse successo, saremmo pronti ad affrontare le conseguenze etiche e morali dell’”emulazione del cervello”? Transcendence, film del 2014 diretto da Wally Pfister, mette a fuoco proprio questa situazione. La mente di uno scienziato in fin di vita viene “caricata” su un computer, cosicché la sua coscienza possa sopravvivere alla morte fisica. La coscienza dello scienziato prende il sopravvento e arriva a costruire un corpo artificiale, identico all’originale, entro cui si trasferisce. Certo, parliamo di fantascienza e di teorie tendenzialmente speculative, ma la medicina rigenerativa ha già fatto passi da gigante.
Grazie alle cellule staminali la bioingegneria è riuscita a ricreare tessuti e organi umani. Nel film di Michael Bay, The Island, del 2005, troviamo cloni di esseri umani allevati per il prelievo di organi. Anche in questo caso non siamo forse così lontani dalla possibilità di replicare situazioni simili. D’altra parte, la clonazione di animali è già stata più volte effettuata con successo. Per non parlare del già esistente Crispr, strumento progettato per modificare il codice genetico che permetterebbe di correggere difetti genetici e curare gravi malattie, incluso, forse, il cancro. Come non pensare, però, a tutti gli scenari che la prospettiva di alterare il Dna potrebbe scatenare?!
Che cosa ci impedisce dunque di provare a clonare un uomo o progettare un “bambino su misura”? Al momento, solo una sorta di reticenza etico-morale. La scienza procede inesorabilmente, ha già ottenuto molte risposte e potrebbe già essere troppo tardi per arrestarla. Una volta sviluppata la teoria, se è dunque solo questione di limiti etici, cosa succederebbe se qualcuno decidesse di ignorarli? Penso sia quindi doveroso iniziare a chiederci che mondo intendiamo lasciare alle generazioni future e che cosa siamo disposti ad accettare in nome del progresso.
Il pianeta del futuro
Parlando di generazioni future e controversie etiche, è impossibile non accennare alle condizioni precarie del nostro pianeta e a quello che da decenni è considerato la nostra “nuova frontiera”: lo spazio.
Vittime di un miope antropocentrismo, abbiamo danneggiato in modo quasi irreparabile il nostro pianeta. Anzi, siamo disposti a lasciarlo andare in rovina pur di non rinunciare a profitti e comodità. Ancor più miopi, invece di salvare la Terra con soluzioni concrete, cerchiamo un fantomatico “Pianeta B” da distruggere allo stesso modo. È d’altronde innegabile che ovunque l’uomo è arrivato ha lasciato il segno del proprio passaggio. La ricerca svolta nello spazio infatti contribuisce sicuramente al progresso e al nostro benessere, ma comporta anche notevoli svantaggi. Dalle bandiere sulla Luna, alle sonde su Marte, ai miliardi di detriti spaziali che orbitano intorno alla Terra. Non possiamo pensare di poter disporre dell’intero universo come se fosse di nostra proprietà. E se effettivamente abbiamo bisogno di sfruttare i vantaggi offerti dallo spazio, dobbiamo essere lungimiranti e imparare a rispettarlo, anche per assicurarci che possa continuare a offrirli.
E, a proposito di salvaguardia del pianeta e dell’intero universo, eccoci dunque alla “regina” delle controversie etiche: la bomba atomica. Condannato come crimine di guerra e contro l’umanità, l’utilizzo delle armi di distruzione di massa (nucleari, chimiche, biologiche, radiologiche) è proibito dai trattati internazionali. Come ben sappiamo, però, questo non è un deterrente sufficiente né a impedire che la ricerca in questo ambito prolifichi né a garantirne il non utilizzo. Spinti dal mantra per cui “la miglior difesa è l’attacco”, non c’è limite oltre il quale gli stati non siano disposti a spingersi.
Ma non possiamo perdere di vista il benessere dell’umanità. Se dunque una ricerca non è strettamente necessaria e, peggio ancora, non è finalizzata al benessere dell’uomo, bisognerebbe avere il coraggio di bloccarla sul nascere, o di affrontare la domanda: che cosa siamo disposti a sacrificare per amor di conoscenza?
Cristina Resmini