Nei PASI, i centri di quarantena diffusi in tutto il Venezuela, gli emigrati che fanno ritorno al loro paese sono vittime di abusi e costretti a viveri in condizioni precarie. È quanto emerge da un’indagine di Human Rights Watch, condotta in collaborazione con l’Università Johns Hopkins. Il report raccoglie le interviste di 76 persone, tra cui 23 venezuelani che hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza all’interno di un PASI. E poi giornalisti, attivisti e membri delle ONG.
Il controesodo venezuelano
Le misure restrittive introdotte da numerosi paesi dell’America Latina, per contenere la diffusione del Covid-19, hanno avuto severe ripercussioni sulla vita dei migranti venezuelani. Molti, senza uno status regolare, o il cui lavoro si regge sull’economia informale, si sono trovati in una situazione insostenibile. Per questo motivo, a decine di migliaia stanno ritornando in Venezuela.
Erano scappati da un paese al collasso, e ora sono un esercito di disperati. Uomini, donne e bambini che, spesso a piedi, dopo un viaggio al limite attraverso Perù, Colombia, Ecuador e Brasile, denutriti e disidratati, cercano di attraversare la frontiera del loro paese. Si calcola che 130.000 persone abbiano fatto ritorno in Venezuela dall’inizio della pandemia.
Alcuni, giunti al confine, sono costretti a lunghe attese prima di poter effettivamente entrare in Venezuela. Questo perché le autorità del paese hanno limitato gli accessi giornalieri. E così si sono formati, al confine con la Colombia, accampamenti dove non è possibile rispettare i protocolli di distanziamento previsti dall’OMS, dove l’igiene è carente e non è garantito l’accesso a cibo e acqua. Non è raro vedere persone dormire ai bordi delle strade, esposti al caldo, al freddo, alla pioggia.
Chi non è disposto ad aspettare entra in Venezuela illegalmente, attraverso passi di frontiera non ufficiali. Le “torchas” sono controllate da gruppi armati che richiedono il pagamento di una tassa per poter varcare il confine. Un prezzo che a noi può sembrare poca cosa, ma che è difficile da sostenere per questa moltitudine di poveri.
Una volta varcata la frontiera, ad accoglierli non trovano, come sostiene il presidente Maduro, un paese pronto a riceverli. Trovano una dittatura che, considerandoli alla stregua di bioterroristi, li costringe all’orrore dei PASI.
I Puntos de Atención Social Integral (PASI), tra abusi e condizioni malsane
Il governo venezuelano ha allestito in tutto il paese centri di quarantena, i Puntos de Atención Social Integral. I PASI trovano spazio nelle scuole, negli alberghi, nelle strutture sportive pubbliche. Se ne contano 271 disseminati lungo le frontiere e a Caracas.
Chiunque voglia rientrare in Venezuela deve trascorrere un periodo di quarantena di 14 giorni in uno di questi centri. Dovrà inoltre sottomettersi a diversi test per scongiurare il propagarsi del virus.
Sebbene sia compito del governo tutelare le persone accolte nei centri PASI, i testimoni intervistati da HRW descrivono una realtà ben diversa da quella promossa dalla propaganda di Palazzo Miraflores.
Le strutture sono sovraffollate, mancano le più basilari condizioni igienico-sanitarie. Non c’è sapone, non c’è disinfettante, alle donne non vengono forniti assorbenti. I bagni sono pochi e spesso inutilizzabili. Acqua e cibo scarseggiano. Non è garantita assistenza medica e non è previsto un piano di accoglienza per i bambini.
Spesso il periodo di permanenza in questi centri si estende in modo indefinito oltre le due settimane, e la scusa adottata è quella del ritardo nell’elaborazione dei risultati dei test.
In un paese tristemente noto per ledere i diritti umani, i PASI segnano un ulteriore punto a sfavore del governo.
Nei PASI il rischio è la diffusione del virus
La pessima gestione di molti dei PASI suppone un aumento del rischio di infezione e propagazione del virus. È quanto ha dichiarato Kathleen Page, medico e professore della Facoltà di Medicina dell’Università Johns Hopkins.
“Mandare chi rientra a centri di quarantena malsani e sovraffollati, dove è impossibile rispettare le misure di distanziamento sociale, è una formula perfetta per propagare il virus….Obbligarli [gli emigrati che fanno ritorno in Venezuela] a rimanere lì [nei centri] oltre il periodo stabilito di 14 giorni non fa altro che aumentare il rischio che si contagino e non contribuisce in alcun modo ragionevole alla salute pubblica”
I PASI sono gestiti da diverse entità, tra cui la Guardia Nacional Bolivariana, per cui le loro condizioni cambiano sensibilmente. Ci sono centri dove le necessità basiche delle persone ospitate sono una priorità. Altri, invece, non riescono, o non vogliono, far fronte alla situazione.
I testimoni di HRW hanno affermato che, in alcuni casi, le proteste contro le condizioni assolutamente carenti dei PASI sono state represse con minacce di castighi e detenzioni.
Il Proceso de Quito
La settimana del 19 ottobre si riunirà il Proceso de Quito. Questa istanza multilaterale venne istituita nel 2018 tra alcuni paesi dell’America del Sud per trovare una soluzione comune al problema dell’esodo venezuelano.
HRW auspica che le sue raccomandazioni non restino inascoltate, e che i rappresentati dei paesi membri non sottovalutino l’emergenza umanitaria rappresentata dal controesodo venezuelano. In particolare, la speranza è che i diritti dei venezuelani vengano rispettati e garantiti tanto in patria come fuori dal paese e che “si ponga fine agli abusi nei centri di quarantena, incluso il sovraffollamento e le condizioni malsane”.
Camilla Aldini