La questione dei CPR in Trentino-Alto Adige è diventata un argomento di grande risonanza nella regione e oltre. Questi centri hanno suscitato un dibattito acceso e una serie di interrogativi fondamentali che riguardano sia la gestione dei migranti senza titolo di soggiorno che il rispetto dei diritti umani.
Se ne parla da tempo, adesso però, il Presidente della Provincia Autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, ha annunciato la sua intenzione di aprire un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) come risposta a ciò che lui vede come una sfida nell’accoglienza dei richiedenti asilo e nella gestione della microcriminalità. Per molti attivisti e attiviste, questa mossa solleva domande fondamentali sul rispetto dei diritti umani e sulla compassione verso i migranti senza titolo di soggiorno.
Questa controversia non è sorta di recente. Risale al 2017 quando il leader della Südtiroler Volkspartei (SVP – Partito Popolare Sudtirolese) ha iniziato a mescolare la sua agenda politica con l’idea di espulsioni e rimpatri, anziché concentrarsi su soluzioni strutturali per affrontare le sfide legate all’accoglienza. La sua coalizione con la Lega di Matteo Salvini a partire dal gennaio 2019 ha ulteriormente rafforzato il suo impegno per questa causa, anche se ha continuato a sostenere che non si è spostato verso una posizione politica più a destra.
Come anticipato, molte organizzazioni e attivisti locali si oppongono fermamente all’apertura dei CPR. Gruppi come Bozen Solidale e il Centro sociale Bruno di Trento stanno promuovendo un appello e un’assemblea pubblica per esprimere la loro forte opposizione a questa decisione. Essi respingono categoricamente l’idea di aprire centri di detenzione amministrativa per i migranti senza titolo di soggiorno, sottolineando che questi luoghi spesso cancellano qualsiasi diritto umano.
Gli attivisti fanno notare che dietro le mura dei CPR sono stati documentati abusi continui, che spingono le persone detenute a atti di autolesionismo e tentativi di suicidio. Le morti all’interno dei CPR sono state numerose, superando le trenta. Questi centri sono stati definiti dei lager per le condizioni disumane che impongono, trasformandosi in luoghi di controllo, segregazione e persino tortura per individui che hanno commesso l’unico “reato” di non possedere un permesso di soggiorno. Indagini giornalistiche, report di associazioni e relazioni del Garante nazionale dei detenuti hanno rivelato che i CPR sono incompatibili con i diritti umani, con continue violazioni di diritti inviolabili sanciti dall’art. 2 della Costituzione italiana, come il diritto alla difesa, alla salute e alla libertà di comunicazione con l’esterno.
Inoltre, è emerso che vengono somministrati farmaci psicotropi in modo incontrollato, il che solleva ulteriori preoccupazioni per la salute e il benessere delle persone detenute.
Ma il problema va oltre le questioni umanitarie. La gestione dei CPR rappresenta anche una spesa significativa per la collettività, arricchendo enti privati e multinazionali senza scrupoli. Secondo un rapporto della CILD, le Prefetture hanno bandito gare d’appalto per un costo complessivo di circa 56 milioni di euro per la gestione dei 10 CPR presenti in Italia nel periodo 2021-2023, oltre ai costi di manutenzione delle strutture e delle forze dell’ordine. Queste risorse potrebbero invece essere impiegate per il benessere sociale e la regolarizzazione dei migranti, offrendo un’alternativa più umana all’abbandono e alla segregazione razziale.
L’appello degli attivisti si conclude con una chiara richiesta di politiche volte alla regolarizzazione delle persone senza documenti, abolendo leggi come la Bossi-Fini e i decreti “sicurezza” che hanno precarizzato lo status giuridico dei migranti, mettendo a rischio la loro integrazione sociale.
Infine, l’idea che l’apertura di CPR possa reprimere la microcriminalità appare illogica e fuorviante. Le persone detenute vengono spesso trasferite tra centri, creando confusione e mancanza di riferimenti territoriali.
Mentre l’opinione pubblica potrebbe essere condizionata da campagne mediatiche spesso distorte, c’è una forte voce di opposizione che sostiene i valori dell’accoglienza e della solidarietà tra persone. Questi attivisti credono che sia necessario rivalutare le politiche nazionali ed europee sull’immigrazione per garantire il diritto fondamentale alla libera circolazione, anche per i cittadini non comunitari. La loro richiesta è chiara: emersione dal “soggiorno in nero” e regolarizzazione per tutti i cittadini stranieri già presenti in Italia.
L’appello invita la comunità a unirsi a questa lotta firmando l’appello e partecipando all’assemblea pubblica, con l’obiettivo di costruire un coordinamento regionale che informi il pubblico e contrasti l’apertura dei CPR. La provincia di Bolzano rimane al centro di una discussione che riguarda non solo la sua comunità, ma anche i principi fondamentali dei diritti umani e dell’accoglienza.