Era il 10 marzo 1971 quando la Corte Costituzionale abrogò l’articolo 553 del codice penale. Da quel giorno, le donne poterono finalmente autodeterminare le proprie scelte sulla maternità.
La contraccezione diventa legge, è la conquista di un diritto
La legalizzazione della contraccezione ha segnato un’epoca per le donne, le quali poterono cominciare a scegliere liberamente se vivere o meno la maternità. Infatti, indipendentemente dal proprio compagno, marito o fidanzato, la donna iniziò a essere tutelata dalla legge e non condannata per le sue scelte. Insomma, nel 1971, iniziò una rivoluzione importante che, se per certi versi ha portato dei cambiamenti epocali, per molti altri è ancora agli albori. La strada è lunga. Molto lunga. E, purtroppo, è lecito pensare che in tutto questo tempo poteva succedere qualcosa di più, anzi, si sarebbe dovuto fare qualcosa in più.
Articolo 553 del codice penale
Intitolato “Incitamento a pratiche contro la procreazione” l’articolo 553 fu introdotto dal Codice Rocco negli anni Trenta. All’epoca, in Italia vigeva il regime fascista, la cui propaganda politica si focalizzò anche sulla natalità e sulla crescita demografica, promuovendo l’idea che un popolo fecondo fosse una delle fonti della potenza di uno stato. L’articolo puniva “la propaganda dei mezzi atti a impedire la procreazione”, condannando a un anno di reclusione chi si fosse reso responsabile del reato. Fortunatamente, si verificarono pochissimi casi nei quali la magistratura ricorse a tale legge, tuttavia ci vollero 40 anni per ottenerne l’abrogazione.
1952 – 1968
Firmata da soli due deputati del PSDI, Luigi Preti e Luigi Bennani, il 24 settembre 1952 venne fatta la prima proposta di riforma della legge. Tuttavia, non giunse nemmeno in discussione come tutte le successive depositate in Parlamento. L’ultima proposta, l’ottava, fu presentata il 27 novembre 1968 dal PCI, con anche la firma di Luigi Pintor e Nilde Iotti. Inoltre, la relazione era accompagnata dal parere del Consiglio superiore di Sanità, che aveva votato all’unanimità a favore dell’abrogazione, probabilmente sollecitato anche dall’ONU e dall’OMS. Infatti, entrambi all’epoca suggerivano caldamente un controllo delle nascite. Nonostante tutto, le varie proposte risultarono un fallimento, principalmente per volere del Parlamento, che non mostrò mai una reale disponibilità al cambiamento. Indubbiamente la presenza in Italia di un cospicuo elettorato cattolico e della Chiesa non favorì la situazione.
Ideologia vs necessità
Negli anni Cinquanta si cominciò a percepire una minima apertura nei confronti della contraccezione non per un effettivo cambiamento ideologico, ma piuttosto per necessità. Infatti, nel dopoguerra si cominciò a temere il sovrappopolamento, pertanto l’aspetto culturale del retaggio fascista perse sostanzialmente di significato, diventando invece un problema da risolvere. Anche la Chiesa cattolica, cosciente della situazione, manifestò un atteggiamento lievemente favorevole al controllo delle nascite, accettando però la sola contraccezione naturale. Contemporaneamente nacque anche l’AIED che, fondata a Milano nel 1953, fece della procreazione libera e responsabile la propria ragione sociale.
10 marzo 1971, l’inizio della rivoluzione a favore della contraccezione
Il primo dicembre 1970 in Italia entrò in vigore la legge sul divorzio (legge Fortuna-Baslini), grazie alla quale si legalizzò la dissoluzione del vincolo matrimoniale. Una grande conquista per il nostro Paese, messa poi in discussione qualche anno dopo, nel 1974, da un referendum abrogativo nel quale vinse il no con il 59,26% dei voti. Poco più di tre mesi dopo, il 10 marzo 1971, la Corte Costituzionale abrogò l’articolo 553 del codice penale, riconoscendolo come incostituzionale. Da quel momento, i mezzi di contraccezione diventarono un simbolo di emancipazione, soprattutto femminile, perché cambiarono la visione della gravidanza: non più un evento “capitato”, ma una scelta.
Si alla contraccezione, no alla vendita dei contraccettivi: contraddizioni
Nonostante l’abrogazione della legge, in Italia rimase il divieto di vendere i contraccettivi nelle farmacie, sulla base di alcune norme ancora vigenti circa la registrazione dei farmaci. Infatti, secondo il Regolamento 478 del 1927, non era possibile “la registrazione di specialità medicinali e di presidi medico-chirurgici aventi indicazioni anticoncezionali”. Pertanto, i farmaci per la contraccezione dovevano essere registrati sotto “falso nome”, ad esempio la pillola era un “regolatore dei cicli mestruali” e gli spermicidi degli “antisettici per l’igiene intima della donna”. Bisognerà aspettare poi il 1976 per abrogare queste norme, grazie a una battaglia promossa e sostenuta dall’AIED.
Dopo il 1971
Il 19 maggio 1975 entrò in vigore la Riforma del Diritto di famiglia, che sancì sia l’abolizione del capofamiglia, fatta eccezione per il discorso anagrafico, sia l’introduzione del concetto di potestà genitoriale in sostituzione della patria potestà. Nello stesso anno, il 29 luglio, la legge 405 aveva istituito i Consultori Familiari, la cui funzione, seppure multidisciplinare, era principalmente quella di promuovere la salute sessuale, riproduttiva e relazionale del singolo e della coppia. Un altro grande traguardo fu raggiunto poi il 22 maggio 1978 con l’approvazione della legge 194, che legalizzava l’aborto. Infatti, sino a quel momento l’interruzione di gravidanza era considerata un reato, punibile con la reclusione da due a cinque anni della donna e dell’esecutore materiale.
“Il segreto”, un fotoromanzo per informare
Dal momento che le lunghe battaglie dell’AIED non videro un grande impegno pubblico per informare tutte le donne dei loro diritti, la stessa associazione produsse un fotoromanzo a tema. Finanziato da una fondazione americana, “Il segreto” riscosse subito l’interesse della stampa, in quanto primo fotoromanzo italiano “di servizio”. Diretto da Luigi De Marchi, grande sostenitore di una sessualità libera dai moralismi, il lavoro è stato interpretato dall’attrice Paola Pitagora.
Una rivoluzione incompiuta
Molto tempo è passato da quello storico 10 marzo 1971, ma l’Italia fatica ancora a diffondere liberamente la contraccezione. Nonostante sia ampiamente dimostrato quanto l’informazione sessuale favorisca una maggiore consapevolezza nelle scelte di genitorialità, i numeri suggeriscono che la cultura contraccettiva incontra una sostanziale difficoltà nell’affermarsi.
La contraccezione, un diritto ancora troppo costoso
“La salute riproduttiva coincide con una vita sessuale soddisfacente e sicura, la possibilità di riprodursi, la libertà di decidere se e quando farlo”.
(Oms, 1994)
Per quanto queste parole dovrebbero sembrare ormai ben radicate nella cultura del nostro Paese, purtroppo non è così, almeno non ovunque. Infatti secondo i dati, in Italia spesso è difficile, se non proibitivo, l’acquisto dei contraccettivi, soprattutto per le fasce più giovani. Ad esempio, una confezione di profilattici può costare anche 15 euro e un diaframma si aggira intorno ai 40 euro. Nel privato i costi di una spirale raggiungono anche i 400 euro, mentre la maggior parte dei consultori non può offrire questo servizio. Nemmeno la contraccezione orale è così accessibile, in particolare da quando, nel 2016, l’AIFA ha riclassificato la pillola in fascia C. Difatti, non è più rimborsabile dal Sistema Sanitario Nazionale, anche se utilizzata a scopo terapeutico.
Oggi le donne sono libere di scegliere, lo dice la legge. Ma non basta. Sebbene gli ci siano gli indubbi progressi culturali della nostra società, il diritto all’autodeterminazione della maternità viene ancora troppo spesso messo in discussione. Non è giusto. Ottenere una legge a favore della libertà di scelta è un traguardo fondamentale, ma senza un cambiamento culturale rimane un testo scritto, cui diventa quasi difficile appellarsi.
Una donna non dovrebbe sentirsi coraggiosa per aver voluto scegliere liberamente, nonostante i pregiudizi. Una donna dovrebbe essere felice di aver potuto fare una scelta in un mondo che non la giudica, ma la incoraggia a esercitare i propri diritti. Eppure succede.
Eppure, ancora oggi molte donne subiscono la condanna di una società che non riesce ad accettare la maternità come una scelta personale e quindi parla. Giudica. Condanna. La legge ha dato alle donne la libertà di scegliere, facendo un grande passo avanti. Ora non diamo alle parole il diritto di ferirle, perché sarebbe come tornare indietro.
“Essere mamma non è un mestiere; non è nemmeno un dovere: è solo un diritto tra tanti diritti.”
Carolina Salomoni