Si sta perdendo sempre più il contatto visivo tra gli individui, oscurato non solo dall’arrivo impetuoso della tecnologia e dal suo uso spesso e volentieri improprio, ma anche dalla superficialità e dall’esteriorità umana, pigra o incapace di scavare dentro l’individuo, per ricercare l’animo e provare a leggerlo interpretativamente. Per questo motivo in alcune persone è nata la voglia di dar vita ad un esperimento umano e sociale che recuperi il contatto visivo, chiamato Eye Contact Experiment. Un vero e proprio evento multietnico nato da poco ma che si sta diffondendo, sia in Italia che in tutto il mondo, per l’eclatante successo ottenuto.
Protagonista indiscusso, l’Eye Contact, delimita delle zone, nelle diverse città in cui si stabilizza, con legni, fiori, immagini, tappetini e cuscini, sui quali i partecipanti saranno invitati a sedersi comodamente per poter vivere, diacronicamente e diatopicamente, momenti intesi e profondi attraverso gli sguardi con gli altri individui e al termine della seduta gli stessi potranno esternare le sensazioni percepite durante l’esperienza, disegnando creativamente su fogli messi a disposizione. Non esistono regole predefinite durante l’Eye Contact. Il fluire spontaneo dell’essenza del soggetto umano, la naturalezza del proprio essere e il rispetto totale del prossimo sono le uniche regole da seguire – se possono chiamarsi tali.
Dunque, un esperimento, questo, volto a riconnettere l’essenza delle persone tramite una comunicazione generalmente non verbale, attraverso sguardi, sorrisi – se si vuole anche abbracci – per contrastare il velo apatico che avvolge sempre più la società in cui viviamo e col fine di rompere gli schemi sociali precostruiti e le resistenze interiori che inibiscono l’essere umano di entrare in contatto reale e profondo con il prossimo. Lo sguardo, insomma, che rappresenta universalmente l’Eye Contact, attraverso cui scorre un flusso sensazionale e reale che strappa i veli di protezione emotiva, uscendo dalla zona di comfort conosciuta e ha così il coraggio di sperimentarne una nuova, è il fil rouge perché fin dall’antichità, nei poemi classici, nei romanzi medievali, era la chiave che apriva la porta dell’anima nonché dell’animus. Lo scrittore Andre Cappellano ci ha lasciato scritto la sua accezione dello sguardo come un locus amoenus che esprime e racchiude l’amore, ma come questo, anche tanti altri sentimenti è possibile captare attravreso il contatto visivo, ancora oggi.
Una ragazza che ha partecipato lo scorso maggio all’Eye Contact a Torino, sito nel parco del Valentino e organizzato dal Centro Olistico Jahasrara ha espresso così le proprie sensazioni al termine dell’esperienza vissuta: “Ho provato una carica pazzesca nel vedere tante menti sullo stesso ‘piano’, pronte a mettersi in gioco e a superare quella piccola paura del contatto umano e soprattutto visivo essendo, noi, fondamentalmente animali asociali. Inoltre ho notato che se entrambi le parti si guardassero nello stesso occhio – sai non riesci mai a guardarli entrambi – si entra profondamente nell’anima dell’altro. Improvvisamente non riesci più a vedere ciò ch ti circonda ed effettivamente raggiungi lo scopo dell’esperimento, ovvero leggere nell’animo della gente sconosciuta. Riesci a captare, ad esempio, le intenzioni dell’altro, le paure, l’ansia da prestazione è palpabile. Con alcuni poi è nata un’intesa, si è iniziato a parlare. Quello che penso di tutto ciò è che se nella vita ci dedicassimo più a leggere negli occhi delle persone che nel guardare le news dei Social sarebbe tutto più semplice o magari no, ma sicuramente tutto più bello ed umanamente reale, vero”.
Come testimonia anche la partecipante sopracitata, l’Eye Contact non è fine a se stesso, vuole essere uno studio, attraverso una sorta di meditazione indotta, affinché ognuno possa integrare, nella propria vita e nella quotidianità, empatia verso il prossimo e volontà di entrare in contatto con le persone. Una connessione eterogenea dove non esiste un conduttore che guida le dinamiche delle relazioni, in quanto le interazioni sono totalmente libere. Inoltre, questo esperimento tenta di liberare l’essere umano dall’individualismo estremo da cui è avvolto imposto dalla società, e cerca di ricordare allo stesso -affinché ci rifletta profondamente – che è cellula di un unico elemento e parte di un’ umana esperienza, chiamata vita.
Ilaria Graziosi