Il self publishing sta prendendo piede sempre più anche nel panorama letterario italiano. Si configurano così due scenari: da una parte, una ventata di novità culturale e maggiore libertà dai rigidi criteri editoriali, dall’altra la perdita di una letteratura “di qualità” assicurata dalla figura delle case editrici.
Il self publishing è un fenomeno di cui sempre di più si sente parlare. La pubblicazione autonoma dei propri libri, infatti, siano questi romanzi, saggi o altre tipologie di scritti, ha ormai conquistato una buona fetta di mercato letterario, ormai anche qua in Italia. Questo fenomeno porta con sé sì dei lati positivi, ma anche alcuni negativi che possono influire sia sui bilanci delle case editrici, sia sulla qualità dei testi pubblicati e, di conseguenza, sul concetto di cultura in sé.
Come funziona il self publishing
Il nome del fenomeno è già esplicativo: si tratta di prodotti librari “pubblicati da se stessi”, cioè che saltano il passaggio attraverso chi media tra l’autore e il pubblico, ossia la casa editrice. In questo modo, chiunque è potenzialmente in grado di pubblicare tutto ciò che desidera, senza dover aspettare che il proprio scritto venga accettato da un editore, revisionato, inserito all’interno di una specifica collana; insomma, il testo viene portato al pubblico esattamente com’è, saltando tutti i vagli redazionali che spesso vedono rifiutare una proposta di pubblicazione. L’unico “giudice” del libro diventa così il lettore, facendo venire meno la figura da mediatore culturale che sin dal Novecento ha caratterizzato le case editrici italiane. Non solo: il self publishing non permette nemmeno tutta quella parte di trasformazione del libro in “merce”, quindi tutta la parte di promozione e distribuzione che invece gli editori assicurano.
Le piattaforme di self publishing ormai sono molte, ma sicuramente Amazon – anche – in questo costituisce un grande colosso. Si pensi che il sito è nato come libreria online, fino a diventare il distributore di qualsiasi prodotto che è ora. La parte libri, però, rimane un grosso guadagno per l’e-commerce di Bezos: Amazon infatti non solo collabora con le case editrici, ma dall’altro lato promuove un tipo di produzione editoriale alternativa ad esse, come appunto il self publishing in formato epub attraverso il Kindle (o KDP – Kindle Direct Publishing).
Accanto ad Amazon, però, ci sono tantissimi altri siti che permettono questo tipo di pubblicazione, come per esempio Lulu.com. Le case editrici, però, non sono rimaste semplicemente a guardare: alcune di loro hanno creato il proprio servizio di self publishing, come per esempio il Gruppo Feltrinelli con Ilmiolibro.it, facendo nascere una forma ibrida tra la pubblicazione autonoma e la promozione che deriva da un editore reale.
Piattaforme di lettura e storie di successo
Prima di arrivare alla pubblicazione di veri e propri libri, cartacei o ebook, con un inizio, una fine e un codice ISBN, il self publishing si era già imposto nel mercato del libro tramite i cosiddetti social di lettura. In questi, scrittori di ogni tipo possono, spesso gratuitamente, pubblicare i propri testi e trovare un pubblico che li legga. Il più famoso è sicuramente Wattpad (con la propria piattaforma di pubblicazione, Wattpad Books), mentre nei primi anni del 2010 andava anche EFP, dove a dominare erano principalmente fan fiction, ossia storie inventate sui personaggi famosi del momento. E la cosa che forse potrebbe sorprendere è che alcune di queste storie autopubblicate sono diventate best-seller mondiali, con i diritti successivamente acquistati dalle case editrici. Si parla per esempio di Cinquanta sfumature di grigio di E. L. James, nata come fan fiction di Twilight, o After di Anna Todd, racconto ispirato ai One Direction (da Harry Styles a Hardin Scott è stato un attimo).
I vantaggi del self publishing
L’autopubblicazione delle proprie opere non solo elimina tutta la rigidità dietro alle scelte editoriali, ma garantisce anche tempistiche più rapide e profitti potenzialmente maggiori. Questo significa che se normalmente una casa editrice può acquisire anche più del 50% dei diritti sull’opera, nel caso del self publishing ovviamente ogni diritto rimane in tasca all’autore. E questo non vale solo per i diritti intellettuali del testo, ma soprattutto per quelli primari, ossia la percentuale che l’autore percepisce sul prezzo di copertina. Sotto una casa editrice, è difficile che questa superi il 10%, con contratti anche a scaglioni che quindi variano all’aumentare delle vendite. Il self publishing consente all’autore di percepire anche il 70% delle vendite con rischi imprenditoriali spesso ridotti a zero, perché il libro (se cartaceo) va in stampa solo dopo l’ordine del cliente.
Certo è che se un autore desidera pubblicare un lavoro di qualità deve comunque investire una certa somma di denaro per servizi che normalmente vengono offerti dalle case editrici, come quelli di correzione di bozze, impaginazione, grafica per la copertina e così via.
I problemi culturali legati all’autopubblicazione
Se certamente il self publishing ha dei vantaggi non indifferenti, è sempre però da prendere con le pinze. C’è certamente un discorso economico legato a questo fenomeno, con un’eventuale perdita nei bilanci delle case editrici, ma le problematiche maggiori sono legate più a un aspetto culturale.
È vero che gli editori sono spesso scettici nel pubblicare nuovi nomi, puntando magari su autori già affermati che hanno un pubblico consolidato a cui poter vendere il prodotto libro. Questa propensione a puntare su dei “cavalli vincenti” ha però diverse conseguenze, come appunto la difficoltà degli autori emergenti a trovare un editore o la perdita di qualità delle opere, che magari si basano solo sul nome dell’autore in sé.
Tuttavia, il self publishing stesso ha messo sul mercato una quantità di testi che sono tutt’altro che di qualità. Senza la mediazione culturale delle case editrici, che per loro compito si sono sempre poste come primi lettori di un’opera, il rischio di produrre libri di scarso valore è assai alto. E non si parla solo di contenuti, ma spesso anche di forma, perché queste piattaforme consentono a chiunque, indiscriminatamente, di pubblicare qualcosa. Se i libri su cui ci si “forma” sono loro stessi scritti male, è facile imparare e riprodurre gli stessi errori, sia di scrittura che concettuali. Il lavoro delle case editrici dovrebbe essere proprio quello di porsi come “super lettori” e valutare professionalmente il valore complessivo di un’opera, cosa che nel self publishing è lasciata solo al pubblico.
Per tirare le somme, sicuramente il fenomeno del self publishing ha permesso a voci nuove di emergere e ha dato loro gli strumenti per poter vivere di scrittura (o fare della scrittura un supporto al proprio lavoro) senza grosse complicazioni, con una sorta di rivalsa degli autori. Che questo abbia portato alla crisi delle case editrici è forse anacronistico, perché il fenomeno è presente da anni e né questo né l’avvento del digitale con l’ebook hanno ancora messo in ginocchio la realtà editoriale italiana. Sicuramente ha segnato un cambiamento importante nel rapporto tra autore e pubblico, nelle dinamiche di promozione del prodotto libro e ha dato uno scossone a una situazione stagnante delle case editrici, tendenti ormai a investire solo sul sicuro e poco sulla novità e sullo sperimentale. Quello che questo fenomeno ha fatto riemergere, però, è una riflessione sui concetti di letteratura e di cultura: tutto ciò che viene pubblicato è di qualità? È giusto che chiunque possa essere scrittore, e quindi qual è la reale definizione della professione? Basta il parere del pubblico a decretare il successo di un’opera nel tempo?