La notizia che arriva dal National Center for Atmospheric Research sulla pubblicazione nella rivista scientifica Journal of Geophysical Research: Atmospheres di uno studio sulle conseguenze climatiche di un conflitto nucleare svela uno scenario ancora peggiore del previsto.
Circa un anno e mezzo fa avevamo pubblicato i risultati di uno studio simile che analizzavano le conseguenze di uno scontro nucleare relativamente limitato tra India e Pakistan.
La novità dello studio guidato da Charles Bardeen del NCAR e che vede come coautore tra gli altri Alan Robock, professore di scienze del clima alla Rutgers University, è che grazie ai nuovi modelli climatici e ai moderni supercomputer hanno potuto elaborare scenari su cosa succederà allo strato d’ozono.
Qui dobbiamo fare un passo indietro, fin dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki del 1945 sappiamo che in caso del bombardamento di una città con un ordigno nucleare prima ci sono le conseguenze dello scoppio e le vittime immediate (incenerite se nel raggio della distruzione assoluta o spazzate via dall’onda d’urto) e poi le conseguenze delle radiazioni.
Negli anni 80 gli scienziati arrivarono alla conclusione che un conflitto nucleare su larga scala avrebbe generato conseguenze della durata di anni sul clima, essenzialmente le grandi quantità di fumo e cenere bloccando la luce solare avrebbero raffreddato improvvisamente il clima, tanto che a questo scenario si diede il nome di “inverno nucleare” (tra l’altro è risaputo che imponenti eruzioni vulcaniche possono fare la stessa cosa). Quindi sono ormai una quarantina d’anni che si studiano le conseguenze climatiche di un conflitto nucleare.
Ed infatti queste che abbiamo descritto sono abbastanza conosciute dal grande pubblico, ma ce n’è un’altra che gli scienziati conoscevano da tempo, la distruzione temporanea dello strato d’ozono, già negli studi degli anni ’80 fu scoperto che la palla di fuoco delle esplosioni avrebbe creato ossidi di azoto e le conseguenti reazioni chimiche avrebbero danneggiato lo strato di ozono. In seguito fu scoperto che anche lo stesso fumo avrebbe colpito il prezioso scudo che ci protegge dalle radiazioni UV del Sole.
Gli scienziati però non avevano i mezzi per calcolare l’estensione del fenomeno e sospettavano che la scomparsa temporanea dell’ozono sarebbe stata controbilanciata dal fumo che schermando la radiazione solare ci avrebbe anche protetto dagli UV.
Nel presente studio si ipotizzano vari scenari e si arriva alla conclusione che uno scambio nucleare limitato tra due paesi vicini (sì anche in questo caso si ipotizza tra India e Pakistan, da quelle parti qualcuno inizierà a fare scongiuri) avrebbe comunque la conseguenza di causare una perdita del 25% dell’ozono a livello globale con un tempo di recupero di 12 anni. Mentre un ipotetico conflitto su scala globale con scambio di molte testate tra USA e Russia porterebbe a una drammatica diminuzione del 75% con un tempo di recupero di 15 anni.
Gli agghiaccianti (come se non lo fossero abbastanza prima) scenari derivanti sulle conseguenze climatiche di un conflitto nucleare relative alla funzione protettiva dello strato d’ozono sono abbastanza diversi, nel caso del conflitto globale, la quantità di fumo sarebbe tale che effettivamente nel periodo iniziale ci proteggerebbe anche dai raggi UV. Ma in pochi anni il fumo inizierebbe a diradarsi ben prima che lo strato di ozono si reintegri, dunque sperimenteremmo prima un intenso inverno nucleare con un brusco abbassamento delle temperature e poi appena il fumo inizierà a diradarsi saremmo investiti da un’esplosione di raggi ultravioletti.
Nel caso del conflitto su scala locale invece il fumo non sarebbe abbastanza e dunque sperimenteremmo immediatamente un raffreddamento meno intenso ma in concomitanza con un immediato aumento della quantità di raggi UV che colpiscono la superficie, poi di pari passo andrebbero il dissipamento del fumo e la risalita delle temperature ma anche il ripristino dello strato d’ozono.
Roberto Todini