Giovanissimi sono i ragazzi che raccontano il proprio congedo dai social. Stanchi della sensazione di disagio derivata dall’utilizzo di questi, decidono di sperimentare un passato “asocial”, da loro mai vissuto.
Il “Luddite Club”
Non riuscivo più a distinguere se facevo una cosa perché mi piaceva o perché era bello mostrarla sui social.
È così che Logan Lane, diciassettenne newyorkerse, motiva quello che sembra essere un definitivo congedo dal proprio smartphone. Nella vita le sembrava di recitare per essere all’altezza della sua versione social, così, mossa da questa consapevolezza e da tanta determinazione, si è completamente sottratta all’uso di qualsiasi social network per dare una possibilità ad attività che non aveva mai considerato prima. Nelle ultime settimane lo sciopero dei social, la volontà di allontanarsi da una rete di illusioni, ha coinvolto sempre più ragazzi. Ora sfruttano le ore che passerebbero sui social per svolgere attività ricreative di gruppo: suonare, leggere, o addirittura, cucire i propri vestiti.
Capitanato da Logan, si è così creato il “Luddite Club”, un vero e proprio anti-social club il cui nome rimanda al luddismo, movimento operaio ottocentesco di violenta protesta contro l’introduzione delle macchine nelle industrie britanniche.
È da considerarsi un caso che tale avversione emerga proprio nel periodo successivo alla pandemia?
Rispolverando gli ancora vividi ricordi del lock-down, ricorderemo che l’epidemia globale di Covid-19 ha causato un “abuso degli schermi”, poiché questi offrivano diverse attività di intrattenimento in un momento in cui gli svaghi concessi erano pochi. Da questo utilizzo eccessivo però si è ricavato un insegnamento positivo, una consapevolezza nuova. Il fatto di essere obbligati ad utilizzare la tecnologia per la didattica a distanza, quindi al di fuori del passatempo, ha aperto gli occhi ai ragazzi riguardo al tempo che vi dedicavano, notevolmente incrementato durante il periodo di confinamento.
4, 5 ore, o anche più, davanti a uno schermo, tra brevi video e informazioni effimere, in un loop meccanico e incontrollato: questo è ciò da cui scappano i ragazzi del Luddite Club. Loro però non sono stati i soli ad aver intrapreso questo stile di vita così in controtendenza con le abitudini contemporanee. Marco Luchini, giovane studente romano sperimenta la vita “asocial” già da un anno e afferma che non tornerebbe mai indietro.
No allo “smartphone-protesi”
Lo smartphone – sostiene Marco – era diventato una protesi, non più uno strumento.
Il ragazzo ha così deciso di liberarsi dello smartphone ritornando, o meglio, sperimentando, in quanto nativo digitale, il cellulare a conchiglia con il quale si limita a semplici telefonate o SMS. Si compiace quando, difronte alla sua suoneria “vintage”, anche i più anziani, ormai abituati a cellulari più moderni, fanno espressioni stupite. Si informa con il giornale cartaceo, che non compra tutti i giorni, per poter riflettere su ciò che apprende. In questo modo si sottrae a quel flusso ininterrotto di stimoli e informazioni a cui sono soggetti gli utenti del web. Se non conosce la strada chiede aiuto ai passanti e se si dovesse perdere accoglierebbe la situazione come un pretesto per conoscere un posto nuovo. Se vuole fare una foto porta sempre con sé una macchina fotografica compatta, ma se questa mancasse sarebbe un incentivo a vivere il momento ancora più intensamente per poterlo ricordare meglio. Sostiene di riuscire a formulare ragionamenti più indipendenti; magari saranno pure sbagliati, ma se deve sbagliare lo vuole fare di testa sua.
In questo modo Marco dimostra che non è necessario che ci sia un gruppo a cui appoggiarsi per riuscire nell’impresa “antisocial”, questione che molti hanno sollevato di fronte al caso del Luddite Club. La scelta deve essere prima di tutto individuale.
Un’azione di resistenza
Dalla matura riflessione di Marco emerge la questione della resistenza al progresso. Ormai quasi tutte le istituzioni scolastiche hanno adottato piattaforme digitali che rimpiazzano i registri e i diari cartacei. Spesso, nelle nuove realtà scolastiche, i compiti a casa vengono caricati sul registro online in orari extrascolastici e questo costringe gli studenti a rimanere costantemente sull’applicazione per poter essere aggiornati. Allo stesso modo molti lavori si insinuano nel privato attraverso i gruppi whatsapp, che richiedono una costante reperibilità. Così lavoro, scuola, università si intrecciano in maniera simbiotica con la sfera privata e con il tempo libero. Marco e i ragazzi del Luddite Club si ribellano a questo, rivendicando il proprio diritto alla disconnessione.
Tuttavia il problema di base è che queste piattaforme sono diventati canali comunicativi da cui è altamente svantaggioso e controproducente sottrarsi perché utilizzati per trasmettere tutte le informazioni necessarie del caso, quelle più urgenti e non. Questa tendenza purtroppo abitua la società alla paura incontrollata di rimanere sconnessi dalla rete, di perdersi le notizie, la cosiddetta nomofobia.
È possibile sottrarsi al progresso?
Questa è una tematica molto indagata nella letteratura italiana. Tanti sono stati gli scrittori che nella propria filosofia hanno inserito l’avversione al progresso, tentando di darvi delle soluzioni. Giovanni Verga suggerisce di rimanere attaccati allo scoglio, ovvero ai valori della tradizione, condannandosi però all’immobilismo. Pier Paolo Pasolini si aggrappa all’idealizzazione di un passato contadino, che, come fatto notare da altri suoi contemporanei, include però anche una grande arretratezza linguistica e culturale. La storia ci dimostra quindi che nessuna di tutte queste possibilità si è concretizzata, ma ciò che è prevalso è stato proprio il progresso.
Perciò alla domanda È possibile sottrarsi al progresso? la risposta è no e soprattutto non è necessario farlo. La “fiumana del progresso”, come la definirebbe Verga, è inarrestabile e talvolta travolgente. È giusto proteggersi, limitando con determinazione l’utilizzo dei dispositivi elettronici, ma senza privarsene. Di fatto dobbiamo accettare che questi stanno alla base della nostra società, avere la consapevolezza che sono fonte tanto di informazione quanto di disinformazione, ma che se utilizzati adeguatamente offrono diverse opportunità positive.
Lo stesso Marco Luchini afferma di ripescare ogni tanto dal cassetto il proprio smartphone, ma di avere la maturità di riporlo e tornare al suo Nokia nel momento in cui si sente riafferrato dal travolgente vortice dei social.