Una delegazione internazionale visita Jenin, in Palestina, per osservare i danni e le gravi azioni compiute dall’esercito israeliano, che nelle scorse settimane aveva attaccato anche un campo profughi nella città. Particolarmente colpite sono state le strutture sanitarie, crivellate di colpi e demolite in modo da essere inutilizzabili.
La delegazione internazionale visita Jenin
Sono 30 gli ambasciatori e diplomatici che si sono recati lunedì in visita alla città di Jenin, in Palestina, per rendersi conto di come l’esercito israeliano operi effettivamente. Hanno trovato una città distrutta, dove le case, almeno quelle che ancora si possono definire tali, non hanno acqua e vengono rifornite dalle autobotti. La popolazione è duramente colpita, stremata dalla distruzione che gli israeliani causano periodicamente: le strutture sanitarie sono gli edifici maggiormente presi di mira, ospedali ed ambulatori sono crivellati di colpi e demoliti o gravemente danneggiati dalle ruspe, rendendoli inutilizzabili o compromettendone gravemente la struttura. Le strade principali della città sono state distrutte, la rete idrica è stata colpita duramente e quella elettrica è molto probabilmente vicina al collasso.
Il campo profughi della città, nel quale nelle scorse settimane erano state uccise 6 persone e ferite 91, è sempre sotto attacco da parte delle milizie israeliane, che cercano di sgomberare più possibile l’area per creare nuove colonie per soli israeliani in Palestina, occupandola illegalmente. Non solo ci sono state irruzioni dei militari, ma le condizioni di vita al suo interno vengono rese difficili dall’esterno, danneggiando la rete idrica e fognaria, ma anche abbattendo gli edifici circostanti. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres si è espresso in merito alla situazione della Palestina occupata, dichiarando che Israele sta facendo un “uso sproporzionato della forza”, infliggendo “una punizione collettiva da parte della potenza occupante”. Nonostante il delegato israeliano al Palazzo di Vetro abbia chiesto delle scuse per quanto affermato da Guterres, il portavoce del Segretario Generale ha riportato che le dichiarazioni fatte vengono confermate, e che è Israele a dover rivedere la sua politica nei confronti della Palestina e dei suoi abitanti.
Israele, Palestina e Comunità Internazionale
Il 10 luglio una delegazione internazionale visita Jenin. Nei giorni scorsi Antonio Guterres condanna le azioni di Israele. Ma la cosa finisce qui. Dopo le belle parole, le visite, i post sui social, nel concreto non sembra che qualcuno si stia davvero attivando per fare in modo che ci sia un cambiamento, anche piccolo, nel conflitto israelo-palestinese. Le violazioni dei diritti dei palestinesi da parte degli israeliani sono ben note, tanto che si è iniziato a parlare di veri e propri crimini di apartheid, come sono noti i vari attacchi fatti dai palestinesi nei confronti del loro nemico atavico. Il problema è che della guerra non se ne parla mai senza essere di parte, non denunciandola per la cosa crudele e becera quale è, ma se ne parla solo guardando i propri interessi. Ne è un esempio lampante il caso degli USA, storici alleati di Israele che hanno sempre sostenuto la causa (soprattutto per gli interessi economici e geopolitici che ci sono dietro): solo nei mesi scorsi il New York Times ha per la prima volta pubblicato un articolo con una prospettiva diversa, mostrando le foto di alcuni ragazzi palestinesi uccisi dai raid israeliani. Un segno forse che la politica statunitense sta cambiando, diventando più equa e meno di parte. Ma la domanda rimane, come mai non si fanno passi avanti nel conflitto?
La risposta parrebbe, purtroppo, essere scontata. Non c’è alcun interesse nel porre fine ad una guerra che va avanti dal secolo scorso. I costi in termini di vite umane sono altissimi, la povertà dilaga, l’acqua scarseggia, le condizioni igienico-sanitarie e di vita delle persone che abitano nelle zone più calde del conflitto sono orribili, eppure la guerra continua. Per forza, il settore bellico è un dei più redditizi al mondo. Non possiamo stupirci se nazioni che spendono oltre 2.200 miliardi di dollari in spese militari (circa il 39% della spesa militare globale), che sono coinvolte in praticamente qualsiasi conflitto medio-grande sulla superficie del pianeta, e che spesso sovvenzionano gruppi rivoluzionari per rovesciare governi, non facciano niente per fermare le guerre. Sappiamo bene che il mondo gira intorno ai soldi e che piaccia o no la guerra ne porta tanti, troppi. La speranza è che la prossima generazione possa cambiare in qualche modo le cose, anche se è estremamente dura.