Tra le prime conseguenze di un conflitto militare c’è molto spesso la fame sofferta dai civili.
È una storia che purtroppo conosciamo bene e che è diventata una triste realtà anche nel terribile conflitto in Sudan iniziato ormai da 11 mesi.
Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite “World Food Program” (WFB) la guerra in corso nel paese ha causato già migliaia di vittime, minaccia milioni di persone in tutta la regione e “potrebbe causare la più grave carestia del mondo”.
L’avvertimento è stato lanciato da Cindy McCain, direttrice esecutiva dell’agenzia, dopo essersi recata a Renk, città nella parte sudorientale del paese, da dove negli ultimi dieci mesi sono transitate quasi 600.000 persone. La stessa direttrice ha anche aggiunto che nella situazione in cui versa attualmente il paese “non si è in grado di fornire sufficiente assistenza alimentare di emergenza alle comunità” e la crisi si è aggravata da quando le autorità non permettono il passaggio dei convogli di camion transfrontalieri provenienti dal vicino CIAD e diretti nella regione sudanese del Darfur, una delle più colpite dalla guerra civile.
Il conflitto in Sudan: anatomia di un tragedia umanitaria
Il conflitto in Sudan, scoppiato ormai quasi un anno fa, vede contrapposti i due gruppi armati che nel 2021 presero il potere con il colpo di stato finalizzato alla deposizione del Consiglio sovrano, una giunta civile e militare che governava il paese dal 2019. Nell’ultimo anno il conflitto tra i due maggiori “signori della guerra” ha assunto la forma di una vera e propria resa dei conti: da una parte il generale Abdel Fattah al Burhan al comando dell’esercito regolare e dall’altra il ribelle Mohamed Dagalo a capo delle Forze di supporto rapido (RSF).
I due schieramenti commettono atrocità di ogni tipo, tra cui bombardamenti, distruzione delle infrastrutture, stupri, saccheggi, villaggi bruciati e trasferimenti forzati. I morti sono già 15 mila, 8 milioni i profughi e al momento spazio diplomatico per una tregua, e tanto meno per una trattativa di pace, non sembra esserci.
Sulla questione umanitaria, in particolare nella regione del Darfur, a fine gennaio si era espresso anche il procuratore della Corte penale Internazionale Karim Khan che in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva comunicato i propri sospetti riguardo l’agire delle forze militari che a suo parere stavano commettendo crimini di guerra e contro l’umanità.
A tal scopo aveva chiesto anche una risoluzione per far entrare nel paese ispettori internazionali dopo che nel dicembre 2023 la Missione Integrata di Assistenza Transitoria delle Nazioni Unite in Sudan (UNITAMS) era stata chiusa su richiesta delle stesse autorità sudanesi sebbene il conflitto fosse ancora in corso.
Il ruolo della Russia nel conflitto in Sudan
Nel conflitto in Sudan ha poi un ruolo significativo anche la Russia, che non a caso sulla decisione internazionale di chiudere la missione UNITAMS si era astenuta dal voto. Mosca tramite la vendita di armi sostiene da sempre il governo sudanese. Nel 2019 dopo, la caduta del regime di Al Bashir, ha intensificato i rapporti economici con il paese dell’Africa subsahariana soprattutto nell’ambito dell’industria mineraria e attualmente è la principale sostenitrice di Dagalo e delle Forze di supporto rapido le quali nel 2021 difendevano gli accordi commerciali presi in precedenza con Mosca e che il governo di al Burhan voleva invece rivedere.
In una situazione del genere, dove per indebolire l’avversario si sabotano anche le infrastrutture economiche o si frena l’arrivo degli aiuti umanitari ha provocato una crisi che riguarda circa 18 milioni di persone che soffrono di grave insicurezza alimentare e 3,8 milioni di bambini, di età sotto i 5 anni, che sono gravemente malnutriti. Davanti a questi numeri sempre secondo McCain: “Le conseguenze dell’inazione influenzeranno la regione negli anni a venire” ed è urgente che il conflitto in Sudan possa cessare “affinché a tutte le agenzie umanitarie venga consentito di svolgere il proprio lavoro salvavita”.
La crisi umanitaria in corso
Il rischio da cui l’agenzia WFP mette poi in allerta è la diffusione della crisi umanitaria ai paesi vicini tra cui il Ciad ed il Sudan del Sud. Le persone che riescono a fuggire dal conflitto in Sudan costituiscono una grossa percentuale di chi soffre la fame a livelli catastrofici nei paesi di arrivo eppure rappresentano solo il 3% della popolazione totale. Scappano dalla guerra e dalla fame e arrivano in campi di transito dove trovano spesso ancora più fame, luoghi dove un bambino su 5 è malnutrito.
É a questo punto evidente, come sottolineato nello stesso appello del WFP, che per invertire la rotta ed evitare una catastrofe umanitaria il conflitto in Sudan debba cessare immediatamente lasciando spazio alla costruzione di una pace vera e duratura.