Il 2 Dicembre è stata emessa la sentenza di condanna a 13 mesi e mezzo di carcere per il noto attivista pro-democrazia per Hong Kong Joshua Wong.
Il ventiquattrenne era stato arrestato lo scorso 23 Novembre insieme a due compagni attivisti, Agnes Chow, che ha 23 anni, e Ivan Lam che di anni ne ha 26.
L’arresto dei tre ragazzi era stato preannunciato in un post Facebook in cui lo stesso Wong aveva spiegato di essersi dichiarato colpevole di “aver organizzato un’assemblea non autorizzata quando il movimento a favore della democrazia ad Hong Kong era ancora all’inizio”.
Nello stesso post Facebook Wong aveva anche affermato che “non avrebbe trovato sorprendente” la possibilità di un imminente arresto che, infatti, di lì a poco è stato eseguito nei confronti suoi e dei compagni.
La manifestazione non autorizzata cui si riferisce l’accusa che ha portato i tre militanti alla condanna era stata organizzata nell’Ottobre 2019.
I manifestanti si erano dati appuntamento di fronte al quartier generale della polizia per protestare contro la brutalità usata dagli agenti nei loro confronti durante i cortei dei giorni precedenti.
Per lo stesso reato e per quello che punisce chi indossa maschere sul volto, Wong era già stato arrestato il 24 Settembre 2020 ma era uscito dal carcere a seguito del pagamento di una cauzione. Dopo l’approvazione della “legge sulla sicurezza nazionale”, però, aveva pubblicamente espresso il timore di essere arrestato nuovamente ed estradato in Cina.
Tale norma è stata molto discussa non solo nell’ambito del dibattito istituzionale interno ad Hong Kong, ma anche nel resto del mondo.
Il dibattito internazionale si è concentrato sull’ipotesi secondo cui la legge sulla sicurezza nazionale segnerebbe la fine definitiva del principio su cui si era basato il rapporto tra la Cina e Hong Kong fin dall’anno in cui quest’ultima aveva smesso di essere una colonia inglese, nel 1997. L’accordo stipulato allora, infatti, prevedeva che il passaggio dal controllo inglese al controllo cinese avvenisse sotto particolari circostanze, prima fra tutte la garanzia di almeno cinquant’anni di libertà per Hong Kong.
“Un paese, due sistemi”, questo era il principio che avrebbe dovuto regolare i rapporti tra lo stato comunista e la sua regione amministrativa speciale, lo stesso che oggi, a seguito dell’approvazione della legge sulla “sicurezza nazionale”, molti esperti dicono essere venuto meno.
La Cina, inutile dirlo, nega che queste analisi siano veritiere, ma rimane innegabile che la norma preveda molte restrizioni alle libertà dei cittadini di Hong Kong.
Essa sancisce, infatti, la possibilità di arrestare chiunque sia accusato di compiere “attività terroristiche” e atti di “sedizione, sovversione e secessione”. Queste diciture nascondono molti pericoli proprio per gli attivisti che combattono a favore della democrazia ad Hong Kong. Il primo arresto eseguito dopo l’approvazione della norma è stato quello di un uomo accusato di essere in possesso di una bandiera indipendentista.
Anche le pene previste sono molte alte, tanto che per alcune circostanze è messa in conto anche la possibilità della condanna all’ergastolo.
I reati contestati a Wong, Chow e Lam, però, erano stati commessi prima dell’approvazione della legge sulla sicurezza nazionale, per questo la massima pena rischiata da loro ammontava a 5 anni.
La condanna dei tre attivisti, seppur relativamente leggera, ha un valore fortemente simbolico per il movimento pro-democrazia di Hong Kong.
I tre, infatti, nonostante la loro giovane età, sono tra i volti più noti del movimento degli ombrelli. Agnes Chow, che a differenza dei due compagni si trova a scontare la sua prima condanna, era stata anche recentemente inserita dalla BBC nella lista delle donne più influenti per il loro impegno nel rendere il mondo un posto più giusto.
Silvia Andreozzi