Condanna processo Eternit bis: la Corte d’assise di Novara ha condannato Stephan Schmidheiny a 12 anni per omicidio colposo. Mentre i processi a carico dell’imprenditore svizzero procedono, gli effetti della massiccia produzione di amianto in Italia si fanno sentire ancora oggi.
Condanne in Corte d’assise
È ormai da più di 2 anni che si sta svolgendo il processo Eternit bis, e solo di recente siamo arrivati a una condanna in Corte d’assise. Tra tutti i tribunali coinvolti nel processo Eternit bis, è stato quello di Novara a emettere una condanna di 12 anni per omicidio colposo nei confronti di Stephan Schmidheiny, l’imprenditore svizzero proprietario di Eternit.
La procura aveva chiesto l’ergastolo per Schmidheiny, che è stato chiamato a rispondere di omicidio con dolo eventuale per la morte di 392 persone (ovvero nel caso legato allo stabilimento di Casale Monferrato). Il motivo è presto detto: tutti questi decessi erano considerati, secondo l’accusa, come legati al materiale lavorato nello stabilimento locale della multinazionale svizzera.
La corte ha inoltre emesso anche l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e ha fissato una cospicua provvisionale di circa 100 milioni di euro per le parti civili. Le cifre sono divise come segue: 50 milioni di euro per il comune di Casale Monferrato e 30 milioni per la presidenza del Consiglio dei Ministri. I restanti 20 milioni saranno da destinare ai gruppi della parte civile (di cui diverse associazioni e sindacati) e ai parenti delle vittime: per questi ultimi, le cifre vanno dai 20 000€ fino addirittura ai 300 000€ in alcuni casi.
Già lo scorso aprile la Corte d’assise di Napoli aveva condannato Schmidheiny a 3 anni e 6 mesi per omicidio colposo, in riferimento alla morte di un operaio dello stabilimento Eternit di Bagnoli. In questo caso l’accusa aveva chiesto 23 anni e 11 mesi per l’omicidio di otto persone (sei operai e due parenti), ma di questi la corte ne ha confermato uno soltanto, prescrivendo gli altri sette.
Condanna Eternit bis dopo la prescrizione del primo processo
Le prime indagini sulle responsabilità legate ai danni ampiamente causati dall’amianto in Italia risalgono al 2004. L’inizio del primo processo a Eternit e ai suoi proprietari Louis De Cartier e Stephan Schmidheiny risale invece al 2009. L’accusa, anche in questo caso rappresentata da parte civile, era quella di disastro ambientale doloso, cosa che avrebbe portato i due imprenditori a diversi anni di reclusione: in Corte d’appello la condanna era di 16 anni, mentre in Corte d’assise era stata aumentata a 18 anni.
Fu però la Corte di cassazione a ribaltare completamente la sentenza: mentre nei primi due casi si riteneva che il reato fosse ancora in corso nella misura in cui gli effetti dell’esposizione all’amianto erano recenti (vi erano stati molti casi di mesotelioma, una forma di tumore ai polmoni), in terzo grado si ritenne che il reato si era concluso al momento della chiusura dei stabilimenti nel 1986. Si ritenne quindi che il reato dovesse cadere in prescrizione, annullando di fatto le condanne sopracitate e anche il risarcimento dei danni.
Subito dopo la prescrizione del primo processo, partirono le accuse per il secondo: il reato, secondo l’accusa, non era più di disastro ambientale ma di omicidio colposo. Tutti i casi sono stati suddivisi tra i tribunali in base agli stabilimenti di riferimento: per la tragedia di Casale Monferrato, la più importante per numero di vittime, il caso è stato affidato al tribunale di Vercelli (passato poi al tribunale di Novara in secondo grado). Gli altri casi sono stati affidati a Torino per i morti di Cavagnolo, Napoli per quelli legati all’area di Bagnoli e Reggio Emilia per quelli di Rubiera.
La produzione storica di amianto in Italia
Durante tutto il ‘900 l’Italia è stata uno dei principali Paesi produttori di amianto, seconda nel continente europeo solo all’Unione Sovietica. Considerato come materiale da costruzione estremamente utile, i suoi effetti altamente cancerogeni sono stati ignorati per molto tempo, motivo per cui oggi si parla della condanna nel processo Eternit bis. Anche dopo la scoperta e la diffusione alle masse degli effetti dannosi dell’amianto, l’introduzione di leggi specifiche per impedirne l’estrazione, la produzione e la lavorazione sono arrivate molto lentamente.
Sebbene sin dai tempi di Plinio il Vecchio si aveva già notato l’ammalarsi degli schiavi che lavoravano nelle miniere di amianto, fu solo nel 1898 che venne appurato scientificamente il problema: Montague Murray, medico Charing Cross Hospital di Londra, aveva infatti notato profonde alterazioni polmonari di tipo sclerotico in seguito ad un’autopsia su un uomo che aveva lavorato come cardatore in una fabbrica di asbesto.
La prima nazione al mondo a riconoscere la natura cancerogena dell’asbesto, dimostrandone il rapporto diretto tra utilizzo e tumori, fu la Germania nazista nel 1943. In Italia invece furono preziosi per la sensibilizzazione pubblica gli studi del professor Vigliani, direttore dell’Ente Nazionale Prevenzione Infortuni (ENPI), derivati un’indagine condotta nel territorio torinese che descrive i casi di malattie gravi dei lavoratori.
In Italia, dal 1907 fino al 1990 è stata attiva la più grande miniera di asbesto d’Europa (e tra le più grandi al mondo), l’Amiantifera di Balangero, la cui produzione è arrivata a toccare le 160 000 tonnellate annue. In tutto, dal Dopoguerra fino all’arresto della produzione, sono state quindi prodotte circa 3,8 milioni tonnellate ed importate circa 1,9 milioni tonnellate di amianto grezzo.
Per avere un’idea ancora migliore della presenza massiccia di amianto sul territorio nazionale, secondo i dati forniti dal CNR si stima che i quantitativi di materiali contenenti asbesto presenti sul territorio italiano siano circa ai 32 milioni di tonnellate, derivanti, in gran parte, dai 2,5 miliardi di metri quadri di coperture in fibrocemento, o Eternit. L’eternit infatti, oltre a essere il nome dell’azienda che ha ricevuto la condanna nel processo Eternit bis, è il nome del materiale da costruzione che veniva prodotto con un misto di amianto e cemento.
I processi continuano
I processi che che vedono sotto giudizio Stephan Schmidheiny sono ancora ben lontani dalla conclusione, e gli esiti finali sono quindi ancora da definire. Quello che sicuramente si può dire è che questo tipo di condanna offre un po’ di speranza, soprattutto alle persone toccate dalle tragedie causate dall’amianto.
Nel frattempo però tali tragedie non cennano ad arrestarsi e anzi, a distanza di decenni, rischiano di vedere proprio in questi anni picchi di segnalazioni di mesotelioma o malattie correlate.