Quando le comunità diventano un inferno: maltrattamenti, fughe e molestie. Il fallimento dei buoni propositi

Comunità

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Le Comunità dovrebbero essere luoghi di accoglienza per persone in difficoltà. La definizione del termine, in qualsiasi dizionario, è chiara:

co·mu·ni·tà/
sostantivo femminile
Insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni: la c. nazionale, cittadina; agire nell’interesse della c.; c. umana, la società degli uomini, il consorzio umano; c. di affetti, la famiglia.

Eppure sempre più spesso, quasi quotidianamente, le cronache sono piene di episodi che vedono coinvolte, pienamente o in parte, le comunità. È doveroso premettere, per non fare di un’erba un fascio, che sono molte le persone che lavorano seriamente in queste strutture e che con grande professionalità donano speranza e concretezza ai più bisognosi. Per comunità non intendiamo solo quelle adibite al recupero di tossicodipendenti, poiché sono molteplici i campi in cui operano tra cui l’accoglienza di minori e di immigrati. Sono delle realtà  spesso (non sempre) a contatto con i servizi sociali e finanziate parzialmente dallo Stato e che, volenti o meno, indirizzano il destino di molti giovani, a volte bambini. Un compito fondamentale poiché rivolto a chi a già avuto una vita difficile senza alcuna colpa se non quella di essere nato nella famiglia sbagliata o nel paese sbagliato. 

Pamela e Jessica

Pamela Mastropietro, appena 18enne, dopo essersi allontanata dalla comunità Pars di Corridonia (Macerata) è stata barbaramente uccisa e fatta a pezzi. Ancora da stabilire se vi sia una responsabilità da parte degli operatori: avrebbero dovuto trattenerla? La madre di Pamela il dubbio lo ha espresso:
Qualcuno le ha fatto male in comunità?-la madre e il padre della 18enne parlano ai microfoni di ‘Porta a Porta’-Perchè quella fuga così precipitosa? Vogliamo sapere cosa era successo
Sarà la legge a decidere le loro eventuali responsabilità civili e penali, ma moralmente lasciatemi dire che sarebbe stato più umano e prudente trattenerla, avvisare i genitori, farla venire a prendere.
Jessica Faoro, uccisa con 40 coltellate da un maniaco a Milano, è un’altra vittima di questo sistema spesso fallace. Jessica non era una tossicodipendente ma dall’età di 7 anni è stata affidata a case famiglia e comunità. Al compimento della maggiore età è finita in strada. Come se bastasse l’età anagrafica per chiudere un caso, che a quel punto non interessava più gli organi competenti. Le istruzioni per la vita a Jessica, non le aveva date nessuno.

Maltrattamento di minori

Di ieri invece la notizia dell’arresto del presidente di una comunità per minori. Le accuse sono gravissime: maltrattamenti, atti sessuali tentati verso un minore e atti persecutori nei confronti di una ex direttrice della struttura. I fatti sarebbero cominciati nel 2013 e continuati fino al 2017. Sono state interrogate più di 80 persone informate dei fatti. L’accusato, ex presidente della comunità La Fonte (in località Prosecco, provincia di Trieste) secondo le prime indiscrezioni, avrebbe anche ordinato di servire cibi scaduti ai suoi piccoli ospiti. Spesso, sempre secondo ipotesi, utilizzava gli alimenti per mimare atti sessuali. Tra le persone che sono state ascoltate anche ex dipendenti, collaboratori della struttura ma minorenni stranieri non accompagnati provenienti da Kosovo, Albania, Pakistan, Afghanistan e Bangladesh.
Avete capito bene: minorenni non accompagnati. Gli stessi che, in questi viaggi della speranza, spesso spariscono nel nulla, tanto nessuno se ne accorge. Nessuno li reclama.
Ma la nazionalità non conta, anche i nostri minori italiani sovente finiscono nel regno di burocrazie lacerate, come Jessica, sballottati di comunità in comunità, di famiglia in famiglia, fino al compimento dei 18 anni, giorno in cui lo Stato decide che sono adulti e che possono essere definitivamente abbandonati.

 

Marta Migliardi

 

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